GRAZIA DELEDDA PER GIACINTO
SATTA:
UN AMORE GIOVANILE ?
Mi sento in obbligo di premettere che ho chiesto agli
organizzatori dell'odierno convegno sullo scrittore-pittore Giacinto
Satta, oroseino di nascita ma nuorese di adozione, il permesso di
fare un mio breve intervento, per il motivo che sono convinto di
presentare una certa notizia circa i rapporti intercorsi fra Grazia
Deledda e Giacinto Satta, la quale quasi sicuramente risulterà
del tutto nuova ai presenti e probabilmente anche a coloro che
leggeranno gli eventuali Atti del convegno stesso.
Noi sappiamo che tra la nascita di Giacinto Satta, nel 1851, e quella
di Grazia Deledda, nel 1871, c'era la differenza di vent'anni; e
tuttavia, dato che vivevano in un paesino come Nùoro che in
quei decenni aveva poco più di 4.000 abitanti, di certo i due
personaggi si conoscevano a vicenda.
Però non sarà stata una semplice conoscenza quella
intercorsa fra Grazia Deledda e Giacinto Satta, bensì io
ritengo che si trattasse di un rapporto molto più stretto,
perlomeno da parte della scrittrice rispetto allo scrittore-pittore.
Intanto risulta che Giacino Satta illustrò con quattro
acquarelli il racconto Ballora di Grazia Deledda, pubblicato
nel vol. XI dell'Almanacco Italiano
(1); e questo significa chiaramente
che i due personaggi nutrivano l'uno per l'altro almeno un discreto
concetto di carattere culturale.
Ma è molto più illuminante fare riferimento ad un
romanzo della Deledda, Canne al vento, il quale sicuramente
è uno dei meglio riusciti della scrittrice nuorese e che anzi
molti ritengono essere il suo capolavoro, con un giudizio che anche
io dico di condividere. Ebbene, questo romanzo ha, come tutti
sappiamo, come argomento centrale della narrazione la storia di tre
sorelle di Galtellì, Ruth, Ester e Noemi Pintor, eredi di una
famiglia nobiliare in via di disfacimento economico e quasi di
estinzione totale. Ebbene è abbastanza noto che questa
famiglia in realtà era la famiglia Satta-Guiso di Orosei,
ossia la famiglia di Giacinto Satta. Non solo, ma l'esattezza della
individuazione della famiglia Pintor di Galtellì con la
famiglia Satta-Guiso di Orosei è confermata da due fatti sui
quali io invito gli ascoltatori a rivolgere, in un primo luogo, la
loro attenzione: innanzi tutto il giovane nipote delle tre sorelle,
quello che senza sua responsabilità effettiva, mise in
ulteriore gravissima crisi, economica psicologica ed umana, le tre
zie, si chiamava proprio Giacinto. In secondo luogo il
cambiamento del suo cognome da Satta in Pintor
sicuramente intendeva fare riferimento alla attività
artistica di questo personaggio: infatti il cognome di origine
spagnola Pintor, derivato dall'appellativo pintor
"pittore", esiste tuttora in Sardegna ed è proprio di alcune
famiglie nobiliari di origine spagnola, ma intanto è evidente
che per la scrittrire nuorese Giacinto Pintor significava
propriamente e soprattutto Giacinto (il)
pittore...(2).
Inoltre vorrei attirare l'attenzione degli ascoltatori su alcuni
altri fatti, che mi sembrano notevoli e soprattutto significativi:
nel romanzo della Deledda risulta che il santuario della Madonna del
Rimedio di Orosei gioca un suo ruolo importante, dato che in questo
santuario per l'appunto ebbe modo di nascere e di affermarsi il
legame di amore fra il nobile don Giacinto e la bella ma
poverissima ragazza Grixenda. Ebbene, noi sappiamo che
Giacinto Satta aveva ambientato proprio nel santuario della Madonna
del Rimedio di Orosei un suo racconto intitolato Matrimonio alla
macchia, che era stato pubblicato nel 1878 e che quasi certamente
Grazia Deledda aveva letto (3).
Ancora notevole e significativo a me pare il fatto che la Deledda
già nel racconto della festa della Madonna del Rimedio di
Orosei affermi che Giacinto era conteso da tutte le ragazze
partecipanti alla festa; notazione che la scrittrice ha modo di
ripetere altre volte nel suo romanzo. Ebbene, sono in grado di
riferire, in base alla memoria storica della mia famiglia, che
conosceva quella di Giacinto Satta, anche perché pure la mia
abitava nel medesimo rione di Lollobéddu di
Nùoro, che don Giacinto era un bell'uomo. La qual cosa
del resto viene confermata da alcune fotografie che si conservano
ancora di questo personaggio.
Infine mi sembra di dover segnalare e sottolineare, sempre nel
romanzo Canne al vento, un altro fatto notevole ed ancora
molto significativo: se si considera con attenzione, in nessun'altro
dei suoi numerosi romanzi la Deledda si è impegnata a fondo,
in termini espressivi e letterari, a tracciare la storia di un amore
intercorso fra un uomo ed una donna, come ha fatto in Canne al
vento. Ed è la storia di un amore intenso, delicato,
contrastato, impossibile, sentito e vissuto soprattutto dalla
ragazza, la quale non si dà pace e vede distruggere la sua
persona, perché va constatando che Giacinto, sia per
l'opposizione delle zie, sia per gravi difficoltà economiche
sia infine per una certa debolezza di carattere, non mantiene la
promessa che aveva fatto di sposarla. La scrittrice nuorese dà
l'impressione ai lettori di essersi impegnata in maniera particolare
nella storia di questo amore contrastato, nonostante che questo non
costituisca affatto il tema centrale del suo racconto; la scrittrice
insomma dimostra in maniera chiara di avere "sentito" veramente ed a
fondo la storia di quell'amore fra i due giovani....
In più dico che si intravede abbastanza facilmente che la
Deledda si è immedesimata nella figura di Grixenda: lo
dimostra anche una nuova significativa circostanza. Premetto che non
sono riuscito a trovare in nessuno dei numerosi repertori di nomi
personali che posseggo, il nome femminile di Grixenda.
Probabilmente la Deledda ha ricordato male il nome di
Griselda, protagonista di una novella del nostro Boccaccio,
tradotta in latino dal Petrarca, imitata da altri scrittori minori e
giunta fino al Chaucer, che la introdusse nei suoi Racconti di
Canterbury. Ma, a precindere da questo suo errore, mi sembra di
intravedere che la Deledda abbia scelto il nome di Grixenda
per il fatto che questo nella sua sillaba iniziale ed in quella
finale ricalcava il nome di Grazia Deledda appunto. Gr-
come Grazia e -da come Deledda, dunque....
Fatta questa premessa di natura filologica relativa al romanzo
Canne al vento, è opportuno fare anche alcuni precisi
riferimenti cronologici. Giacinto Satta morì a Bosa il 14
gennaio 1912, mentre la Deledda pubblicò il suo romanzo nel
1913, cioè appena un anno dopo la scomparsa dello
scrittore-pittore oroseino. Ebbene, a me sembra di intravedere
abbastanza chiaramente che la scrittrice nuorese volle fare un atto
di omaggio alla memoria di Giacinto Satta ed insieme dare una prova
di affetto all'amico scomparso, scrivendo un romanzo che aveva come
oggetto della narrazione la famiglia di lui e decidendo di chiamare
il giovane personaggio col nome di Giacinto. E qui invito i
presenti ad un nuovo atto di attenzione su un fatto che avrà
avuto un suo preciso significato: mentre la Deledda ha deciso di
mutare il nome e la localizzazione della famiglia Satta-Guiso di
Orosei in quello della famiglia Pintor di Galtellì, il nome
del giovane personaggio del romanzo è rimasto proprio quello
di Giacinto Satta.
Insomma, abbiamo ormai parecchi ed abbastanza chiari elementi per
trarre una ovvia e congrua conseguenza da quanto ho finora detto e
sottolineato: il rapporto di Grazia Deledda nei confronti di Giacinto
Satta non era solamente quello di una semplice "conoscenza" e nemmeno
di una semplice "amicizia": il rapporto era molto più
profondo, ed era un rapporto di autentico "amore". La Deledda aveva
provato per Giacinto Satta un autentico "amore", la scrittrice
nuorese, quando era ancora adolescente, era stata veramente
"innamorata" del brillante ed estroso professore, scrittore, pittore
e politico Giacinto Satta.
Ma per tutto quanto ho detto e mostrato fino ad ora, sono in grado di
dare una esatta conferma con una prova documentaria di notevolissimo
e pressoché indubitabile valore: si tratta di uno scritto
giovanile della Deledda, che era rimasto a lungo inedito e che
è stato pubblicato postumo da Antonio Scano nel 1938,
cioè due anni dopo la morte della Deledda nel 1936
(4).
Si tratta di una poesiola di otto versi endecasillabi scritta dalla
Deledda nel 1888, cioè quando aveva appena 17 anni. Non ha
alcun valore letterario, come ha affermato e sottolineato Giuseppe
Petronio, anche se questo critico ha avuto il grave torto di trarre
da questa poesiola elementi per fondare il suo giudizio grandemente
riduttivo del valore letterario della Deledda. Al che io ho avuto
modo di obiettare che è del tutto illegittimo giudicare del
valore letterario di uno scrittore basandosi sui suoi primi e
giovanili tentativi di scrittura; se noi dovessimo giudicare Dante
Alighieri dai suoi scritti giovanili, lo dovremmo mettere solamente
nell'elenco degli scrittori di terzo o quarto piano della letteratura
italiana.... (5)!
La assai scadente poesiola della Deledda adolescente è
intitolata Il mio fiorellino e suona esattamente
così:
Nasce e cresce in un angolo del prato,
del mestissimo prato pien di gelo,
un fiorellin gentile e delicato
da le tinte dolcissime del cielo:
fratel della viola, profumato,
sorridente sul languido suo stelo,
pover fior, giacinto ti chiamiamo,
eppure sovra ogni fior, giacinto, io t'amo!
Ovvviamente non è il caso nemmeno di tentare una analisi
estetica di questo componimento del tutto privo, come risulta essere,
di valori letterari; è però opportuno fare alcuni
rilievi, dirò così, lontamente filologici. Quasi di
certo la Deledda diciassettenne conosceva il fiore di cui tesseva gli
elogi solamente per sentito dire, mentre non l'aveva ancora mai visto
di persona: se lo avesse visto infatti non avrebbe mai detto che il
giacinto ha "le tinte dolcissime del cielo" ed inoltre che è
"fratel della viola". Ed allora possiamo essere veramente sicuri del
fatto che la Deledda adolescente parlava non propriamente del fiore
giacinto, che essa non conosceva affatto, bensì parlava
di un Giacinto reale in carne ed ossa, che conosceva ed
amava... Giacinto Satta.... (6).
Come si vede chiaramente, siamo di fronte ad una autentica
dichiarazione di amore fatta dalla adolescente Grazia Deledda al
giovane, bello, colto e brillante Giacinto Satta. C'erano, sì,
fra la ragazza e lo scrittore-pittore vent'anni di differenza, ma,
come tutti sappiamo, le adolescenti innamorate non danno mai peso
alla differenza degli anni...
Per concludere ritorno alle su accennate considerazioni di carattere
cronologico. Negli anni della adolescenza dunque Grazia Deledda era
stata innamorata di Giacinto Satta. Quasi certamente Giacinto Satta
non aveva mai avuto notizia né sentore della infatuazione che
la adolescente Deledda aveva avuto per lui, dato che - come ho
già detto - la poesiola Il mio fiorellino rimase
inedita a lungo e fu pubblicata molto dopo la morte dello
scrittore-pittore. Costui morì - come abbiamo visto - nel
gennnaio del 1912, mentre il romanzo Canne al vento, che lo
vedeva come uno degli attori principali dell'opera fu pubblicato nel
1913, quando la Deledda viveva ormai a Roma. Orbene, la stretta
contiguità fra la morte dello scrittore-pittore e la sua
riesumazione che ne fece la Deledda nel suo romanzo dimostra in
maniera chiara - a mio avviso - che la Deledda, anche se felicemente
sposata con Palmiro Madesani, ricordava un suo lontano amore
giovanile....
Alla tesi che oggi vado espondendo di un innamoramento giovanile di
Grazia Deledda per Giacino Satta, qualcuno potrebbe opporre il fatto
che nell'altro suo romanzo, quello autobiografico intitolato
Cosima, la Deledda non fa alcun accenno a questo fatto. Ma io
risponderei in primo luogo segnalando che la Deledda in quella sua
autobiografia molte volte mostra di essere stata realmente sincera e
veritiera nel suo racconto, ma qualche volta no. In secondo luogo
direi che, avendo la scrittrice in quel suo libro parlato almeno di
altri quattro suoi innamoramenti giovanili, probabilmente ha
preferito sorvolare sul quinto, il quale del resto forse risultava il
più anomalo, dato che era rivolto ad un uomo che - come
abbiamo visto su - era più anziano di lei di ben venti
anni.
Intendo chiudere con un mio lontano ricordo personale: in una
conferenza che lo scrittore e critico letterario ed artistico Ettore
Cozzani tenne a Firenze, alla fine del 1948 o all'inizio del 1949, su
Leonardo da Vinci, il conferenziere finì il suo
discorso con un riferimento al quesito che era stato in precedenza da
altri proposto circa il rapporto che sarà esistito fra
Leonardo e la donna da lui ritratta nella Gioconda: "Il grande
pittore avrà anche amato quella donna?" Ed Ettore Cozzani,
concludeva il suo discorso in questi termini: "Come avrebbe potuto
Leonardo dipingere quella donna in quel suo modo sublime, se non
l'avese anche amata?!"
Attualmente, passati ormai tanti anni, nonostante che in quella
occasione Ettore Cozzani si sia attirato il consenso unanime e
l'applauso caloroso dei numerosissimi ascoltatori presenti, me
compreso, io dico di nutrire parecchi dubbi sulla validità
della conclusione che egli trasse intorno all'amore che Leonardo
avrebbe nutrito per la donna dipinta nella Gioconda. Tutto al
contrario dico di essere veramente persuaso che Grazia Deledda non
sarebbe riuscita a tracciare la delicata e commossa storia dell'amore
di Grixenda per Giacinto ed inoltre a scrivere col romanzo Canne
al vento il suo capolavoro letterario, se non avesse, nella sua
adolescenza, anche realmente amato il bello, colto e brillante
Giacinto Satta (7).
Massimo Pittau
1 - Cfr. M. Carta, Giacinto Satta.
L'uomo, c. Artista, nella pubblicazione "Incontro con Giacinto
Satta" predisposta dal "Centro Studi G. Guiso, Orosei", in occasione
del Convegno e Mostra organizzati ad Orosei il 29 maggio 1993. Cfr.
anche G. Deledda, Canne al Vento, a cura di N. Tanda, Editore
Arnoldo Mondadori Scuola, Milano, 1993, pag. XXXII.
2 - Sono debitore di questa notazione
relativa al cognome Pintor, alla dott.a Marta Rauret Domenech,
catalana, già mia collaboratrice nell'Università di
Sassari per alcuni anni.
3 - Il racconto era stato pubblicato
nella "Rivista Economica della Sardegna", numero di luglio-agosto,
pagg. 85-104.
4 - Grazia Deledda, Versi e prose
giovanili, a cura di Antonio Scano Milano, 1938, nuova edizione
riveduta dalla figlia Carmen, Milano, 1972, Edizioni Virgilio, pag.
35.
5 - M. Pittau, La questione della
lingua in Grazia Deledda, negli Atti del "Convegno Nazionale di
Studi Deleddiani", Nuoro, 22/24 settembre 1972 (Cagliari, 1974) e
dopo anche in M. Pittau, Problemi di lingua sarda, Sassari,
1975, cap. IV.
6 - L'esistenza di un nome personale
Giacinto in una famiglia sarda riuscirebbe del tutto
inspiegabile, se non si sapesse che in proposito è intervenuto
un grave fraintendimento linguistico: il nome sardo Zossantu,
che propriamente significa "Giovanni Santo", è stato
erroneamente interpretato e tradotto Giacinto! Cfr. M. Carta,
art. cit. La famiglia.
7 - Non sono riuscito a conoscere e
vedere altra bibliografia su Giacinto Satta, oltre quella ricordata
da Michele Carta nel suo citato saggio; e precisamente: L. Falchi,
I due ultimi romanzi sassaresi, nella rivista "Mediterranea",
VII, 1933, num. 1, pagg. 22-24; intero fascicolo dedicato a Giacinto
Satta della rivista cagliaritana "Il Convegno", VI, 1953, num. 1. Un accenno a G. Satta si trova in una lettera da Sassari, del
17/12/1907, di Attilio Deffenu, Epistolario, a cura di M.
Ciusa Romagna, Cagliari, 1972.
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