LA DAGA RICURVA
DEGLI ETRUSCHI E DEI SARDI
Nella nota composizione etrusca in creta colorata, che faceva parte
del frontone del Tempio dei Sassi Caduti di Faleri, un guerriero
cadente si difende con uno scudo rotondo impugnato con la mano sinistra
e brandendo con la destra una specie di piccola “scimitarra”, la quale
risulta curva alla sua metà.
Si tratta della cosiddetta daga, arma di punta e di taglio,
nella quale la curvatura serviva sia per bilanciare meglio l’arma nel
colpo, sia per renderla più pesante nel colpire. E ben per questo il
taglio era dalla parte del dorso convesso e nient’affatto dalla parte
del dorso concavo.
E c’è da precisare che l’antica città del Lazio Falerii,-orum, prima
che diventasse latina, era etrusca (Livio 5.27.11), come dimostra pure
la sua etimologia, che la riporta all’appellativo etrusco fala «torre lignea di assedio», col significato plur. (anche etrusco) dunque di «torri, città delle torri».
In Sardegna, almeno fino a tutto l’Ottocento, gli uomini di campagna
avevano anch’essi la “daga”, infilata nella cintura dei calzoni, e la
tenevano sia per difesa personale sia per operazioni di taglio. Era una spada
ricurva di circa 70 cm, con un solo taglio, che poteva essere usata sia
di punta che di taglio, ed era famosa sino a tutto l'Ottocento anche
fuori della Sardegna. Numerose fotografie della seconda metà
dell’Ottocento appunto ritraggono pastori o contadini sardi con la daga
infilata nella cintura.
Fino ad ora l’appellativo sardo, italiano, spagnolo e catalano daga risultava di origine sconosciuta (Cortelazzo M. - Zolli P., Dizionario Etimologico della Lingua Italiana,
I-V, Bologna 1999), ma quasi certamente era di origine etrusca, come
dimostra sia la chiarissima immagine del guerriero di Faleri sia il
vocabolo etrusco θactara, θacutara, θactra, nel quale è molto probabile il riferimento all’arma, col probabile valore originario di cognomen = “fabbricante di daghe”.
Ma per la “daga” in generale, sia quella ricurva, sia quella dritta,
come la normale “spada”, quasi certamente esisteva nella lingua etrusca
anche un altro nome.
In etrusco abbiamo quello che sembra un antroponimo femm., e precisamente un soprannome: slepariś, sleparis, sleparś (Thesaurus Linguae Etruscae, II edizione, Pisa-Roma 2009). Per evidenti e strette corrispondenze fonetiche esso è da confrontare coi romanesco sleppa «coltello», calabrese lappa «lama di coltello», siciliano lappanazza «daga», protosardo leppa «coltello», lepputzu «coltello da cucina e da tavola» e infine col berbero alebban «spada» (M. Pittau, Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, Domus de Janas edit. Selargius 2014, voll. I-II.). E se ne deduce a fil di logica che Slepariś «coltello, daga, spada» era un soprannome attribuito a una donna particolarmente “tagliente” oppure “pungente”.
Il fatto che l’appellativo degli Etruschi e dei Sardi sia arrivato
anche in Calabria, in Sicilia e in Numidia è conseguente al fatto che –
come è noto – gli uni e gli altri erano grandi fabbricanti ed
esportatori di oggetti di metallo.
Dunque, ancora una volta si riscontra fra gli Etruschi da una parte
e i Sardi dall’altra un perfetta corrispondenza di oggetti e dei
rispettivi nomi. E ancora una volta si constata la stretta parentela
etnica che esisteva fra gli Etruschi ed i Sardi.
Massimo Pittau, 2017
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