TOPONOMASTICA PREROMANA IN SARDEGNA

 

Nel convegno di studi sulla lingua sarda che è stato organizzato di recente ad Oliena per commemorare Max Leopold Wagner, il prof. Jürgen Heinz Wolf, dell'Università di Bonn, ha tenuto una relazione sul tema «Toponomastica preromana in Sardegna», la quale ha ricalcato la sostanza della sua precedente opera intitolata «Toponomastica Barbaricina» (Nùoro, 1998).
Si può affermare subito con tutta tranquillità, che sia la relazione sia l'opera del Wolf sono del tutto fuori dalla linea degli studi condotti fino ad ora sull'argomento da altri numerosi linguisti, e cioè da M. L. Wagner, G. Bottiglioni, B. Terracini, V. Bertoldi, C. Battisti, G. D. Serra, J. Hubschmid, G. Alessio, E. De Felice, M. Pittau, G. Paulis, E. Blasco Ferrer. Tutti questi infatti nel sostrato linguistico preromano avevano individuato ed indicato più filoni linguistici, mentre il Wolf ha sostenuto e sostiene che quel sostrato era «uno strato solo» (op. cit., pag. 20), era cioè uno strato unico ed unitario.
Nella sua relazione di Oliena egli mi ha citato espressamente, attribuendo anche a me la tesi della unicità del sostrato protosardo, che io identificherei con la sola lingua etrusca. Dopo di che egli ha ritenuto di mettermi in difficoltà, facendo questo ragionamento: nella lingua etrusca non esiste la vocale O, mentre questa vocale trova un largo spazio in molti toponimi prelatini della Sardegna, come Orgosolo, Orosei, Orotelli, Gologone, Mògoro, ecc.; dunque la connessione che il Pittau stabilisce tra il sostrato prelatino della Sardegna e la lingua etrusca non va...
Già nel Convegno olianese, mentre svolgevo la mia relazione sulla «toponimia del comune di Oliena», sia pure di passaggio, ho avuto modo di lamentarmi per il fatto che il Wolf avesse attribuito a me la tesi della unicità del sostrato protosardo e della sua totale identificazione con la lingua etrusca. Pur riconoscendo che in precedenza non sono stato sempre e del tutto chiaro nel mandare avanti i miei studi sul sostrato linguistico protosardo (d'altronde si tratta di un argomento molto difficile ed impegnativo), nella mia ultima e sintetica opera intitolata «La Lingua Sardiana o dei Protosardi» (Cagliari, 2000, Ettore Gasperini Editore) ho invece sostenuto l'esistenza in Sardegna addirittura di 7 filoni di sostrato (cioè uno in più di quelli sostenuti dal linguista svizzero J. Hubschmid, compreso anche da lui quello etrusco). Ed io mi sono lamentato col collega tedesco per aver egli fatto riferimento a qualche mia opera precedente e di avere invece tralasciato di fare riferimento a questa mia ultima, che costituisce la sintesi di tutti i miei studi precedenti e che pure gli avevo messo in mano come regalo...
Ma venendo all'essenziale, dico che il riferimento che il Wolf ha fatto alla lingua etrusca, mentre in apparenza mi mette in difficoltà, in effetti dimostra che egli non conosce bene questa lingua, per cui è sempre rischioso che egli la chiami in causa nelle sue argomentazioni. In effetti il Wolf ha fatto una confusione tra il grafema ed il fonema, ossia tra la lettera dell'alfabeto etrusco e il relativo suono. È senz'altro vero che nell'alfabeto etrusco non esiste la lettera O, ma è altrettanto vero che non pochi etruscologi riconoscono e distinguono due tipi di /u/ etrusco, uno chiuso ed uno molto aperto, tendente a diventare /o/. La qual cosa è chiaramente dimostrata sia dalle seguenti glosse etrusche: corofis «erba delle rane», odia «senecione» (erba), Xosfer «ottobre» (ThLE 416-417), sia dalla seguente serie di corrispondenze etrusco-latine: ruma/Roma, surthis/sortis «sorte»; etr. Uple, lat. Uppilius, nonché lat. upilio, opilio,-onis «pecoraro»; etr. Amuni, lat. Amunius e Amonius; etr. Clute, lat. Clutius, Cludius (aggett. cludus) e Clotius, Clodius (aggett. clodus); etr. Crusni, lat. Crusius e Crosius; etr. Cursni, lat. Cursenus e Corsinius; glossa etr. garouleou «crisanteno», lat. Carullius e Carollius; etr. Fului, lat. Fulvius e Folvius; etr. Funei, lat. Funius e Fonius; etr. Murias, lat. Murrius e Morrius; etr. Plute, lat. Plutius e Plotius; etr. Purce, lat. Purcius e Porcius; etr. Rusci, lat. Ruscius e Roscius. Qui mi fermo, ma se il Wolf lo vorrà, citerò almeno altri 50 esempi di questo fenomeno fonetico.
Ciò detto, adesso muovo io una obiezione fondamentale relativa all'intero libro che il Wolf ha dedicato alla «Toponomastica Barbaricina». Sorvolo sul fatto che questa raccolta del Wolf è molto lontana dall'essere completa (nel solo comune di Ollolai una mia alieva ha raccolto 240 toponimi in più dei 112 registrati da lui) e sorvolo pure sul fatto che la documentazione dei toponimi lascia qua e là da desiderare, perché non sempre è esatta. Però mi preme dire qualcosa di più essenziale.
È da premettere che rispetto alla toponimia di una zona o regione il linguista ha tre differenti compiti da svolgere: 1) Documentare e descrivere esattamente i toponimi; 2) Cercare di dare e di spiegare il loro significato effettivo; 3) Tentare di dare e di spiegare una loro eventuale etimologia od origine e quindi una loro eventuale connessione o parentela con altre lingue. Ebbene, nel suo lavoro il Wolf si limita a documentare e a descrivere i toponimi preromani della Barbagia, mentre non affronta mai e poi mai il compito di spiegare i loro significati e tanto meno la loro origine e la loro connessione. Egli si limita a descrivere la struttura fonetica dei toponimi e la struttura dei loro suffissi e nient'altro. E la conseguenza più vistosa di questo semplice e solo descrivere del Wolf è che egli non accosta la lingua dei Protosardi a nessun'altra lingua del mondo antico. Ed a me sembra evidente che il risultato finale di questo modo di lavorare del Wolf è quello di dare della toponimia preromana della Barbagia e della Sardegna una visuale che non si può chiamare meglio che "extraterrestre". Dalle sue descrizioni infatti sembrerebbe che i Protosardi siano arrivati in Sardegna come altrettanti Marziani approdati nell'Isola portandosi dietro una lingua che non sarebbe connessa con nessun'altra e non avendo mai avuto rapporti con nessun altro popolo del Mediterraneo.
Il Wolf spiega codesta sua maniera di lavorare chiamandola "cautela", ma io dico che si tratta di una "cautela eccessiva", che finora non gli ha consentito di scoprire alcunché di veramente importante intorno al sostrato linguistico preromano della nostra isola.

Massimo Pittau


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