GLI OLIVI IN SARDEGNA
CONOSCIUTI DA 4000 ANNI
Nella odierna lingua sarda, derivata - come molti sanno -
dalla lingua latina parlata, esiste il fitonimo e il relativo
frutto oliva, uliva, oliba, uliba, olía, ulía (Olea europaea L. subsp. europaea) riferito alle piante da frutto coltivate.
Più esattamente l’appellativo oli(v)a, uli(v)a indica «olive», al plurale con valore collettivo, mentre la pianta si dice pranta/pianta o matta/matha de oli(v)a, uli(v)a.
Il vocabolo ozastru-ollastu, con le relative varianti locali, si riferisce alle forme selvatiche (Olea europaea L. subsp. sylvestris (Miller).
Olivo ed oleastro (olivastro) sono geneticamente compatibili e possono
generare ibridi per lo più con scarso valore produttivo. Le piante
selvatiche, sino ai nostri giorni, hanno costituito la base per
innestare le varie cultivar di interesse agronomico. Questo non esclude
che nel passato l’oleastro sia stato utilizzato ugualmente per ottenere
il prezioso succo che se ne trae, l’olio, detto in lingua sarda ozu, ollu.
Tutta questa terminologia fitonimica della Sardegna è di sicura
origine latina e dimostra chiaramente che la olivicoltura era
conosciuta e praticata nell’Isola almeno dall’epoca della sua conquista
da parte dei Romani, dopo la loro vittoria di Zama nel 202 avanti
Cristo.
D’altra parte, a mio giudizio, esistono buone prove che dimostrano
che gli olivi erano conosciuti in Sardegna da un’epoca molto più antica
e sono prove di carattere linguistico, consistenti in numerosi toponimi
che, per fattori fonetici e lessicali, sono prelatini e dunque
preistorici.
Questi particolari toponimi sono caratterizzati da alcuni elementi
fonetici che non trovano affatto riscontro nella lingua latina e per
questo preciso motivo riportano alla lingua o alle lingue che si
parlavano in Sardegna prima della sua conquista da parte dei Romani.
In primo luogo sono da citare i toponimi sardi caratterizzati dalla
ossitonìa, cioè dalla caduta dell’accento tonico sulla loro ultima
vocale: Olevà (Buddusò), Olloè (Villagrande Strisaili), Oloè (Oliena), Olovà (2: Benetutti, Olbia); Ollovè, Olobò (Urzulei), Olieddè (Oniferi; vedi oliveddu, olieddu «olivastro, frutto o coccola dell'olivastro»).
Ebbene la ossitonìa non era consentita nella lingua latina, ragion
per cui questi toponimi ossitoni sono di origine prelatina e cioè
protosarda o paleosarda.
In epoca successiva, ormai romana, per ovviare alla ossitonìa i
parlanti sardi hanno aggiunto una vocale paragogica o epitetica –ái, –éi, -ói a molti dei suddetti toponimi ossitoni, trasformandoli nel seguente modo: Olevái (Buddusò), Oligái (Sedilo); Ollái, Olléi, Ollói (Dorgali); Ollái (Villagrande Strisaili), Ollovái (Baunei), Oloái (Illorai), Oloéi (Bolotana), Onifái (Comune di Onifai).
Oppure li hanno caricati di suffissi speciali: Olevani (Urzulei); Olíana, Ulíana (Comune di Oliena), Ulíana (Torpè), Oliotha (Bitti), Olloèo (Villagrande Strisaili), Olotta (Siniscola), Olovesche (Dorgali), Olovesco (Galtellì), Olovossái (Baunei), Olovotho (Nule).
Propriamente parlando la finale dei toponimi in –ái, -éi, -ói non è un suffisso, dato che deriva chiaramente dalle originarie vocali ossitone –á, -é, -ó e per questo motivo io da parecchio ho iniziato a chiamarli “suffissoidi”.
Tra alcuni dei toponimi citati e analizzati sono evidenti alcune
discrepanze fonetiche relative ad una o due consonanti, ma ciascun
toponimo nella sua struttura complessiva induce a interpretare per
tutti una comune base semantica o di significato.
Inoltre è del tutto chiaro che tutti questi toponimi sono
documentati nella Sardegna centrorientale e montagnosa, la quale è
ovviamente quella più conservativa anche in termini linguistici.
È adesso molto importante precisare che il lat. oliva, il greco eláiva, eláia «oliva», l’etrusco alaiva «oliva», elaivana, eleivana
«oleario, per olio» non è un fitonimo indoeuropeo, ma da noi linguisti
viene dichiarato “preindoeuropeo” oppure “mediterraneo”. E con questi
due aggettivi noi intendiamo ed interpretiamo che, quando i vari popoli
indoeuropei (greco, latino, etrusco, germanico, slavo) arrivavano di
tempo in tempo nelle terre bagnate dal Mar Mediterraneo, vi trovavano
piante che essi non conoscevano affatto, e per questo motivo le
denominavano col loro nome locale ed originario. Esattamente come,
quando gli Europei conobbero piante esotiche, in generale le
denominarono col loro nome locale ed originario.
Pertanto per la nostra Sardegna è necessario trarre questa
importante conclusione: i citati ed analizzati toponimi sardi non
soltanto sono prelatini, ma sono anche anteprelatini, non costituiscono
soltanto un sostrato sardo precedente allo strato latino, ma
costituiscono anche un presostrato sardo.
Ciò implica una importante conseguenza: che tali fitonimi possano ritenersi appartenere alla lingua che in Sardegna parlavano i Presardiani, ossia gli scavatori delle tombe rupestri chiamate domos de Jana, i quali erano differenti e precedenti ai Sardi o Sardiani, costruttori, invece, delle “tombe di gigante” e dei nuraghi.
Ma la conclusione ultima e più importante del presente studio è questa: in
Sardegna la conoscenza degli olivi risale almeno a due millenni prima
di Cristo e, sommati quelli dopo Cristo, risale ad almeno 4 mila anni
fa.
[Ringrazio il collega ed amico prof. Ignazio Camarda,
dell’Università di Sassari, per il controllo che ha accettato di fare
della esattezza scientifica delle mie notazioni botaniche. Preciso poi
che per quasi tutti i toponimi (proto)sardi citati e analizzati, è
opportuno vedere la mia opera: M. Pittau, I toponimi della Sardegna – Significato e origine, 2 Sardegna centrale, Sassari 2011, EDES (Editrice Democratica Sarda)].
Massimo Pittau, 2017
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