LA LINGUA SARDA OGGI L'articolo 6 della Costituzione italiana recita testualmente: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Per quanto riguarda la lingua sarda quel ritardo di mezzo secolo è ovviamente da rimproverare molto meno alla classe dirigente nazionale di Roma e molto più alla classe dirigente regionale della Sardegna. Noi Sardi abbiamo il grosso difetto di rimproverare agli altri, ai conquistatori, ai padroni, ai dirigenti nazionali le colpe dei malanni che affliggono la nostra Isola, ma in ordine al recupero, alla salvaguardia e al rilancio della lingua sarda la prima e principale colpa di un così lungo ritardo è chiaramente da attribuirsi alla classe politica regionale, quella di tutti i partiti. Il titolo V della legge regionale prevede la possibilità - non l'obbligo - di adoperare la lingua sarda nella pubblica amministrazione e precisamente recita che «nelle assemblee e negli altri collegi deliberativi regionali e locali che lo contemplino nei rispettivi regolamenti e statuti, potrà essere liberamente usata, nella fase della discussione, la lingua sarda. Le relative amministrazioni garantiscono, ove venga richiesta, la traduzione di tali interventi». Inoltre l'art. 2 recita che «Ove previsto nei citati regolamenti e statuti, degli interventi così svolti dovrà essere garantita la verbalizzazione. Sulla base dei citati ordinamenti, nella successiva fase deliberativa e nei conseguenti documenti potrà essere usata la lingua sarda purché accompagnata, a cura del presidente del collegio, dal corrispondente testo in lingua italiana». Infine l'art. 3 del citato titolo V prevede che «Nella corrispondenza e nelle comunicazioni orali dei cittadini dirette all'Amministrazione regionale e a quelle locali è possibile usare la lingua sarda». Però - commento e preciso io - per le amministrazioni regionale e locali non è previsto alcun obbligo di rispondere al cittadino pure in lingua sarda. A titolo personale dico di ritenere fondamentalmente "buona" la legge regionale num. 26, anche se esprimo il rammarico perché poteva essere migliore. D'altra parte la sede fondamentale della operazione del rilancio della lingua sarda è indubbiamente la scuola, soprattutto la scuola dell'obbligo. In questo settore così importante e addirittura essenziale quasi nulla o molto poco è stato sinora fatto e si va facendo. La difficoltà della partenza di questa operazione nelle scuole sarde, a mio avviso, dipende dalla grande incertezza che esiste fra gli operatori scolastici circa la varietà della lingua sarda che debba essere adoperata ed insegnata nelle scuole. Su questo importante argomento è opportuno che io apra una parentesi e faccia una premessa. Io ho conosciuto personalmente Max Leopold Wagner, il Maestro della linguistica sarda, e con lui sono stato in rapporti epistolari negli ultimi 10 anni della sua vita. Egli aveva fatto la recensione positiva di due miei libri ed inoltre mi ha citato spesso e sempre con deferenza nel suo capolavoro, il Dizionario Etimologico Sardo, chiamandomi perfino "l'amico Pittau". D'altronde in precedenza io avevo dedicato proprio a lui uno dei miei primi libri scritti sul sardo, Il dialetto di Nuoro (Bologna 1956, in seguito rifatto e ristampato col titolo Grammatica del Sardo-Nuorese 1972). Ebbene, nonostante questa nostra amicizia abbastanza lunga e consolidata, da quando in Sardegna si è imposta la "questione della lingua sarda" io mi sono convinto che al grande Maestro si deve pur muovere un forte rimprovero: egli non ha mai mostrato una sufficiente attenzione alla lingua che i poeti sardi adoperano, sia quelli che si esprimono nella varietà logudorese della lingua sarda sia quelli che si esprimono nella sua varietà campidanese. Il Wagner, per le stesse precise esigenze della "ricerca sul campo" che era solito effettuare, in realtà ha finito con lo studiare quasi esclusivamente i vari dialetti e suddialetti sardi (configurandosi pertanto prevalentemente come dialettologo), mentre ha trascurato quasi del tutto la lingua letteraria adoperata dai poeti sardi. E ciò fece per la ragione fondamentale che questa lingua, a suo parere, è carica di cultismi latini e di forestierismi catalani, spagnoli e italiani. Ma io obietto che tutte le altre lingue letterarie neolatine (italiano, spagnolo, catalano, francese, portoghese e rumeno) sono anch'esse cariche di cultismi e di forestierismi e ciononostante vengono dai linguisti e dagli storici delle letterature accettate e studiate come tali. Per questo preciso fatto non trova alcuna giustificazione il disinteresse sostanziale che il pur grande Wagner ha dimostrato per le due varietà letterarie della lingua sarda, quella logudorese e quella campidanese. Tutto al contrario, nel II volume Italiano-Sardo del mio Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, uscito di recente (Cagliari 2003), con tutta tranquillità io ho fatto entrare numerosi cultismi e forestierismi sardi, che invece il Wagner aveva trascurato e tralasciato del tutto. Non lo si può affatto negare: la lingua sarda esiste realmente anche come lingua letteraria, anche se espressa in due varietà fondamentali, il logudorese letterario ed il campidanese cittadino. Queste due varietà letterarie risultano ormai quasi del tutto standardizzate e anche fortemente unificate nel rispettivo ambito di ciascuna. L'uso di una di queste due varietà letterarie ormai è generale da parte dei poeti e anche dei prosatori sardi. Ma del resto non si tratta di sottolineare solamente l'elevato numero di poeti che scrivono in lingua sarda, ma c'è anche l'obbligo di segnalare e sottolineare gli elevati livelli poetici che sono stati raggiunti da molti di loro. Ormai in Sardegna per gli insegnanti della scuola dell'obbligo ed anche di quella superiore che abbiano voglia di lanciare l'uso e lo studio della lingua sarda, esistono componimenti poetici scritti in sardo (campidaneseo o logudorese), i quali sono in grado di educare i nostri ragazzi e adolescenti al gusto della poesia e di aprirli all'attività letteraria molto più e molto meglio di quanto non facciano i triti e ormai abusati "Valentino" di Giovanni Pascoli e "T'amo o pio bove" e "Davanti San Guido" di Giosuè Carducci. Con tutta tranquillità pertanto si possono e si debbono far entrare nelle scuole dell'Isola anche i poeti e la poesia in lingua sarda, senza alcun timore che il livello generale della preparazione linguistica e letteraria dei nostri ragazzi e adolescenti scenda verso il basso, ma anzi con la fondata speranza che essa salga verso l'alto. «Ma questa lingua sarda bimembre, cioè logudorese e campidanese non è la "lingua sarda unificata"», obietteranno sia qualche fanatico della "unificazione" a tutti i costi sia i nemici tout court del recupero e del rilancio della lingua sarda. «E che significa questo?» dico io. Anche gli antichi Greci, nel periodo del pieno fulgore della loro civiltà, non avevano né adoperavano una "lingua greca unificata", bensì facevano uso di quattro o cinque varietà dialettali (eolico, ionico, dorico, attico, ecc.), ciascuna carica di autorevolezza e ciascuna comprensibile da tutti i Greci. Se i Greci non si sono sentiti mai a disagio né hanno provato un complesso di inferiorità per il fatto che la loro lingua greca in realtà era distinta in quattro o cinque varietà dialettali, perché noi Sardi dobbiamo sentirci a disagio e provare un senso di inferiorità per il fatto che la nostra lingua sarda è distinta in due grandi varietà letterarie? Ed aggiungendovi pure la varietà gallurese-sassarese - che, come è noto, non propriamente "sarda" - in realtà noi Sardi attuali ci troviamo in condizioni migliori di quelle degli antichi Greci quanto ad "unità" del loro e del nostro parlare. Eppure, col loro pluralismo dialettale i Greci hanno creato quei capolavori della letteratura mondiale che sono l'Iliade e l'Odissea, le tragedie di Sofocle, Eschilo ed Euripide, le commedie di Aristofane e di Menandro, i Dialoghi di Platone, ecc. ecc.; e più in generale hanno creato la loro splendida civiltà, quella che ha dato inizio all'intera civiltà occidentale, della quale adesso noi andiamo giustamente orgogliosi come eredi diretti e come rappresentanti legittimi. Fatta questa lunga ma opportuna premessa, ritornando alla questione di quale lingua sarda si debba insegnare nelle nostre scuole, io dico di non avere alcun dubbio in proposito: io ho sempre detto e continuo a dire in termini generali che la nostra lingua sarà salvata e recuperata solamente a condizione che vengano salvati e recuperati i singoli dialetti e suddialetti sardi. Per quanto poi riguarda la scuola sarda, a mio fermo giudizio, si deve tendere ad adoperare e ad insegnare il dialetto locale, anzi il suddialetto di ciascuno dei 380 comuni sardi. In questo modo noi avremo la collaborazione effettiva ed anche entusiasta delle famiglie, dei genitori dei bambini e soprattutto dei loro nonni. Se invece nelle scuole dei villaggi e delle città dell'Isola si tenterà di imporre la ormai famigerata «limba sarda unificada» - il cui uso del resto è stato respinto dalla Giunta Regionale con la sua delibera num. 17 del 26 giugno 2003 - è evidente che non soltanto non ci sarà alcuna collaborazione da parte delle famiglie, ma addirittura ci sarà la loro forte opposizione. Cioè si determinerà un autentico "rigetto" della «limba sarda unificada», che quasi nessuno vuole, e sarà un "rigetto" che finirà col coinvolgere anche la lingua sarda in generale, compresi i suoi dialetti. E in maniera certa sarà questo un risultato finale totalmente negativo: i tentativi di recupero e di rilancio della lingua sarda svaniranno tutti e per sempre. D'altra parte, sempre facendo riferimento alla scuola sarda, si debbono distinguere due piani della educazione linguistica in senso sardo, quello del parlato e quello dello scritto. D'altra parte gli insegnanti dovrebbero preparare ed abituare i loro alunni ad un passaggio spontaneo da un codice dialettale all'altro; operazione che sarebbe facile mandare avanti facendo leggere e studiare agli alunni dell'area dialettale campidanese anche poeti e scrittori logudoresi e viceversa. Inoltre questo uso veicolare o strumentale del sardo dovrebbe investire, in maniera alternativa con l'italiano, non solo l'insegnamento linguistico propriamente detto, ma anche quello di ogni altra disciplina. Perché mai la storia della Sardegna, la geografia della Sardegna, l'arte della Sardegna non dovrebbero essere insegnate adoperando la lingua sarda? Oltre a ciò in tutte le località dell'Isola si dovrebbe predisporre l'ambiente, l'intero ambiente, in maniera che parli continuativamente in lingua sarda. A tale fine si dovrebbero recuperare i nomi genuini dei centri abitati sardi, ad es. Garteddi e non Galtellì, Scallebranu e non Escalaplano, Scroca e non Escolca, Maccumere e non Macomer, Norghiddo e non Norbello, Nùgoro e non Nuoro, Orotteddi e non Orotelli, Biddamanna e Biddanoa e non Villagrande e Villanova, ecc. Si dovrebbe recuperare l'antica toponomastica cittadina, da trascrivere accanto a quella odierna. Si dovrebbero incoraggiare le insegne dei negozi anche nella forma propriamente sarda, ad es. Barberi accanto a Barbiere, Buttecaria accanto a Farmacia, Butteca accanto a Negozio, Istancu accanto a Tabacchino, Carnitzería accanto a Macelleria, Pischería accanto a Pescheria, ecc. Infine è evidente che sia la Regione sia le Province debbono organizzare al più presto corsi di aggiornamento in lingua sarda a favore degli insegnanti sia della scuola elementare sia di quella media. Massimo Pittau |
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