Gli scivoloni dei feniciomani nostrani


Sta montando la marea dei Sardi che manifestano la loro opposizione al cambio del nome del «Golfo di Oristano» in quello di «Golfo dei Fenici» e, più in generale, la loro opposizione alla “feniciomania” da cui si mostrano affetti alcuni cultori di storia della Sardegna antica. Questi vedono “Fenici” dappertutto, nei siti di antichi insediamenti, nei resti o reperti archeologici e anche nei toponimi dell’Isola.
Per il vero essi hanno scarsissima competenza e autorità ad interloquire in problemi di toponomastica sarda, posto che sono di prevalente, se non di esclusiva formazione “archeologica”. Pertanto le loro elucubrazioni toponomastiche sono nella massima parte dei casi del tutto prive di valore scientifico. Ad esempio, essi insistono nel ripetere che Tharros, Othoca e Cornus sono toponimi di “matrice fenicia”, nonostante che noi linguisti abbiamo detto e dimostrato che in realtà si tratta di “toponimi nuragici”. Essi poi sorvolano del tutto sul fatto di evidenza solare che il toponimo Neapolis nella riva meridionale del Golfo di Oristano è sicuramente una voce greca che significa «città nuova», per cui molto probabilmente indicava un insediamento greco, non uno fenicio. Altro esempio: traducono una iscrizione neopunica incisa nel manico di una brocca come «Questa brocca è caduta, ha versato il suo contenuto» (vedi catalogo della mostra fatta ad Oristano nel 1997 Phoinikes B Shrdn - I Fenici in Sardegna, pgg. 35, 48, fig. 64), non accorgendosi che una iscrizione di tale significato sarebbe una autentica irrazionalità: nessuno infatti scriverebbe una simile iscrizione su una brocca non caduta e quindi ancora intera e a maggior ragione su una brocca caduta e quindi frantumata, cioè su un suo frammento o coccio.
E tuttavia un cultore di storia antica della Sardegna ha il diritto-dovere di porsi il problema di quale sia l’esatta origine di questa “feniciomania” di codesti studiosi. Ebbene, a mio avviso, l’origine di questo strano fenomeno storico-culturale è la seguente.
Si deve innanzi tutto premettere che altri erano i “Fenici antichi od originari”, altri erano i “Fenici recenti”. I Fenici originari o – diciamo pure – i Fenici propriamente detti avevano la loro sede nella sponda orientale del Mediterraneo, suppergiù nella zona dell’odierno Libano. Essi acquistarono ben presto un notevole ruolo nel Mediterraneo orientale, soprattutto sul piano dei commerci, sia perché la loro sede, la Fenicia, risultava all’incrocio di tre continenti, l’Asia, l’Africa e l’Europa, sia perché, con le loro navi, essi sono stati a lungo al servizio dei Faraoni dell’Egitto, il quale per numerosi secoli è stato la sede della più avanzata e più ricca civiltà del mondo antico.
In virtù della grande esperienza acquisita di navigatori e di commercianti, i Fenici si lanciarono anche alla navigazione e al commercio in tutto il bacino del Mediterraneo, fondando numerosi scali od empori commerciali, in prevalenza lungo le coste settentrionali dell’Africa, ma anche in Sicilia e in Spagna e alcuni pure in Sardegna, accettati questi ultimi, controllati e probabilmente sottoposti a pedaggio da parte dei Sardi Nuragici.
Il più importante di questi stanziamenti fenici fu senza alcun dubbio Cartagine, fondata nei pressi dell’odierno Tunisi, sembra nell’814/813 a. C., in una posizione geografica centrale che dominava l’intero bacino del Mediterraneo.
Anche i Cartaginesi dunque erano di etnia fenicia, tanto è vero che l’altro loro nome – perfino più usato – di Punici in realtà non era altro che la trasformazione del nome dato loro dai Greci, Phóinikes = «Fenici».
I Cartaginesi o Punici diventarono così potenti da costituire l’avamposto e il centro più ricco e potente dell’intera etnia fenicia; tanto è vero che essi svolsero una politica imperialistica in tutto il bacino centro-occidentale del Mediterraneo, conquistando vasti domini, oltre che nell’Africa settentrionale, in Sicilia, in Sardegna e in Spagna e finendo con lo scontrarsi prima con l’elemento Greco in Sicilia e dopo con l’elemento Romano in occasione delle famose tre “guerre puniche”. Se Cartagine avesse vinto contro Roma la battaglia di Zama del 202 a. C., la storia di tutti i paesi del Mediterraneo avrebbe avuto un andamento del tutto differente. Ad esempio, attualmente in Sicilia, in Sardegna e in Spagna molto probabilmente parleremmo lingue neofenicie e non lingue neolatine.
Fenici e Punici o Cartaginesi sentivano fortemente la appartenenza alla loro comune etnia, soprattutto nei momenti di difficoltà e di pericolo. E per questo, quando i feniciomani nostrani sostengono, fra l’altro, che i primitivi insediamenti dei Fenici in Sardegna sono stati attaccati e distrutti dai Punici o Cartaginesi dicono una vera assurdità. Ma poi i Sardi Nuragici – abbiamo anche il diritto di chiederci - che cosa sarebbero stati a fare? Sarebbero stati semplici spettatori imbambolati, con l’anello al naso e la sveglia al collo, oppure avrebbero approfittato dell’occasione per cacciare a pedate dall’Isola sia i Fenici che i Punici?
Riassumendo: i Cartaginesi o Punici erano certamente di “etnia fenicia” e di “lingua fenicia”, che trascrivevano in “alfabeto fenicio”. Però, da questi fatti storici e linguistici del tutto indubitabili, non è affatto legittimo trarre la conclusione che, dunque, tutte e ciascuna delle iscrizioni fenicie rinvenute in Sardegna siano da attribuire ai “Fenici antichi od originari”, quelli che avevano la loro sede nel lontanissimo Libano e che in Sardegna erano riusciti a fondare alcuni semplici “scali commerciali” e non prima della seconda metà del secolo VIII a. C. È molto più ovvio, verosimile e probabile che quelle “iscrizioni fenicie” siano da attribuirsi ai Cartaginesi o Punici, che in Sardegna sono di certo riusciti ad imporre, quasi certamente solo dopo la battaglia di Imera del 480 a. C., un loro predominio politico, militare ed economico, anche - alla lunga - con una certa intesa e collaborazione coi Sardi Nuragici stessi.
Ma c’è un’altra importante considerazione da fare: non poche delle iscrizioni puniche rinvenute in Sardegna sono fino al presente prive di una traduzione ampiamente condivisa dagli specialisti semitisti; ragion per cui non è inverosimile che esse, pur scritte in alfabeto fenicio, in realtà portino in sé altrettanti messaggi in lingua nuragica. Su questo punto è significativa la famosa iscrizione fenicia di Nora (sec. IX-VIII a. C.), la quale finora è praticamente priva di traduzione e d’altra parte contiene il vocabolo SHRDN, il quale richiama chiaramente gli Sciardani, uno dei «Popoli del Mare», che a più riprese assalirono l’Egitto nei secoli XIV-XII a. C. e che molti studiosi hanno identificato coi Sardi o Sardiani.
Insomma, non è inverosimile che i Sardi Nuragici abbiano adottato l’alfabeto fenicio, ma per adoperarlo per trascrivere la loro lingua nuragica. Nello stesso modo in cui, in una carta medioevale ora conservata a Marsiglia, monaci sardi adottarono l’alfabeto greco-bizantino per trascrivere un loro messaggio in lingua sicuramente sarda.
Pertanto, forse un solo frammento epigrafico del secolo XI a. C. rinvenuto a Nora è da attribuirsi propriamente ai Fenici antichi od originari; tutte le altre iscrizioni in alfabeto fenicio rinvenute in Sardegna sono invece da attribuirsi ai Punici o Cartaginesi ed alcune probabilmente ai Sardi.
Venendo poi ai reperti archeologici “fenici” che sarebbero stati rinvenuti in varie località anche della Sardegna interna, come ci illustra, in maniera ridevole, una cartina del già citato catalogo della mostra di Oristano (pg. 10), da un lato essi risultano di epoca relativamente recente, potendo pertanto risalire ai Cartaginesi e non ai Fenici, dall’altro essi possono essere nient’altro che il frutto del semplice commercio.
Col ritenere che quei reperti archeologici siano la prova certa di altrettanti stanziamenti dei Fenici nelle zone interne e montuose della Sardegna, i nostri feniciomani in effetti trasformano i Fenici, da navigatori e commercianti che tutti conoscevamo, in veri e propri conquistatori e colonizzatori perfino delle zone di montagna.
Se noi adesso accettassimo la tesi che quei reperti archeologici indichino una forte presenza e colonizzazione dei Fenici in tutte le zone dell’Isola anche in quelle interne, sarebbe come se invitassimo i futuri archeologi dei secoli avvenire a ritenere e a scrivere che i resti delle numerose automobili e motociclette giapponesi, che di certo troveranno in tutte le parti dell’Isola, sono la prova certa ed evidente che in Sardegna, a cavallo fra il II ed il III millennio dopo Cristo, è avvenuta una massiccia invasione e conquista da parte dei cittadini del Sol Levante.

Massimo Pittau


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