Ancora sull'origine
del vocabolo CUMBISSÍA
In un articolo pubblicato nel periodico nuorese «L'Ortobene», num. 36 del 13 ottobre 2002, ma già prima, nella sua importante opera Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila(1), Raimondo Turtas ha trattato, sia pure brevemente, dell'origine del vocabolo sardo cumbissías, cumbessías, cummissías, qumbissías, che sono le casupole o logge o tettoie che circondano quasi tutti i santuari campestri della Sardegna e che anche lui riporta ai conversos di epoca medioevale. Erano, questi, laici che «chiedevano di essere ammessi a vivere nelle immediate vicinanze del monastero (....) conducendovi una vita quasi monastica, presumibilmente per partecipare meglio alle preghiere dei monaci e riceverne un più assiduo ammaestramento spirituale». E nella sostanza egli interpreta il vocabolo cumbissías appunto come «locali riservati ai conversi».
Per il vero sull'origine od etimologia di questo vocabolo abbiamo discusso in molti e a lungo cinquant'anni fa, compreso il grande Max Leopold Wagner. Sarebbe troppo lungo ed anche abbastanza inutile tentare di riassumere quella ampia e lunga discussione. Ebbene il Turtas dimostra di sposare la tesi che per primo aveva prospettato Antonio Sanna, allora assistente universitario nell'Università di Cagliari.
Successivamente e in epoca abbastanza recente io sono ritornato in tre mie opere sulla questione della etimologia del nostro vocabolo ed alla fine ho prospettato la mia tesi ultima, che esporrò tra poco(2). In queste mie opere io non ho preso per nulla in considerazione la tesi del Sanna, dato che essa mi sembra gravemente difettosa e pertanto da respingere. Dato però che Raimondo Turtas - storico egregio, ma non linguista - ritorna sulla questione e dimostra di sposare appunto la tesi del Sanna, dico in breve le ragioni per le quali a me sembra che quella tesi sia da respingere.
I) Sul piano formale alla derivazione del vocabolo cumbissía dai conversi di epoca medioevale si oppone una grossa difficoltà di carattere strutturale. Nella lingua sarda è conosciuto ed usato un suffisso femminile -ía, avente un valore concreto ma anche singolare collettivo: es. gurpía «quantità di volpi», istranzía «insieme di ospiti»; pannía «quantità di panni», pinnía «insieme di piume»; terpía, tzerpía «quantità di serpi»(3). Orbene, se il significato originario di cumbissía fosse «insieme o quantità di conversi», non si userebbe il plurale cumbissías, proprio come non si usano - a meno che non si creino contesti artefatti di linguaggio - i plurali *gurpías, istranzías, pannías, pinnías, terpías.
II) Mentre nei nostri documenti medioevali, soprattutto i condaghi, ricorrono abbastanza spesso i vocaboli conversos, combersare «convertirsi», conversatione, conversione «conversione», il vocabolo cumbissías non ricorre mai. E questo fatto costituisce un evidente e forte indizio che le cumbissías non avevano nulla a che fare coi conversos.
III) È senz'altro vero che le cumbissias esistono anche in alcuni conventi sardi o in santuari ai quali sono annessi dei conventi, ad esempio, nel santuario dei Martiri di Fonni, ma le cumbissias esistono soprattutto nei santuari di campagna ed anche dei villaggi, dove invece non esiste alcun convento. Cito quelli che mi vengono adesso in mente: San Costantino di Sedilo, Santa Susanna di Busachi, Nostra Signora di Gonare, San Mauro di Sorgono, San Cosimo di Mamoiada, sa Itria di Gavoi, su Meráculu e s'Annossata di Bitti, San Francesco di Lula, su Rimediu di Orosei, Nostra Signora delle Grazie, su Serbadore e Balu Birde di Nuoro, ecc. ecc. Ebbene, i conversos medioevali avevano una ragione di esistere e di operare presso i pochi conventi che esistevano allora in Sardegna, mentre non avevano alcuna ragione di esistere e di operare presso i numerosissimi santuari di campagna ed anche dei villaggi dell'Isola.
Il fatto poi che le cumbissías siano chiamate in Sardegna anche muristenes, muriste(n)is, cioè «monasteri», significa ben poca cosa: esse venivano chiamate anche in questo modo in quanto si presentavano simili alle «cellette dei monasteri», ma non erano affatto altrettanti monasteri.
IV) Sul piano architettonico io non ho mai visto in Sardegna cumbissías la cui struttura possa far pensare ad una presenza permanente o continuativa di fedeli, conversi compresi. La struttura di tutte le cumbissías, soprattutto di quelle chiamate lògias, lozas, lollas «logge, tettoie», induce invece a pensare esclusivamente a «dormitori», a «dormitori provvisori», cioè adoperati solamente in occasione dei pochi giorni delle feste religiose periodiche.
V) Le cumbissías esistono anche presso numerosi santuari degli antichi Nuragici, ad esempio a Santa Vittoria di Serri e a Santa Cristina di Paulilatino, già santuari nuragici, poi diventati, per il fenomeno molto frequente del «sincretismo religioso», santuari cristiani(4). Le cumbissías di Santa Vittoria di Serri hanno un pianta del tutto simile a quella delle attuali pinnettas di Nostra Signora de Sauccu di Bortigali oppure erano lògias, lollas uguali alle «logge, tettoie» attuali. Anche per le cumbissías di Santa Vittoria di Serri non si può ipotizzare alcuna funzione differente da quella di «dormitori provvisori».
Ma non basta, considerato che le cumbissias di Santa Vittoria risultano chiuse da un recinto e tutte sono rivolte verso l'interno, cioè verso gli edifici di culto (proprio come si constata chiarissimante a San Cosimo di Mamoiada e sa Itria di Gavoi, ecc.), è stato ragionevolmente prospettatata l'ipotesi che esse servissero anche per effettuare il rito della incubazione.
Questo rito della incubazione consisteva nel dormire nelle vicinanze di un santuario in attesa di qualche sogno rivelatore, il quale poi veniva spiegato dai sacerdoti o, molto più spesso dalle Pitie, che in Sardegna venivano chiamate in epoca classica Bitiae. Il rito della incubazione, strettamente connesso con quello oracolare, in epoca antica era molto diffuso ed alcuni santuari pagani erano particolarmente famosi in tutto il Mediterraneo, ad esempio, quello di Esculapio di Epidauro. Ciò perché gli antichi - ma non soltanto essi! - credevano molto ai sogni, per cui si aveva la necessità di farseli spiegare da sacerdoti o da sacerdotesse. Sia sufficiente ricordare che il materialista Epicuro riteneva che gli dèi esistessero realmente, appunto in virtù del fenomeno dei sogni, molti dei quali si riteneva che venissero proprio dagli dèi.
L'esistenza del rito della incubazione nella Sardegna nuragica è attestata addirittura da una testimonianza di Aristotele, il quale dà la notizia dell'usanza dei Sardi di «dormire presso gli eroi». Un commentatore di Aristotele, un certo Filipono ci ha tramandato la notizia che in Sardegna il sonno incubatorio presso gli eroi durava perfino 5 giorni (evidentemente provocato da droghe)(5).
Ciò premesso dico che, se le cumbissías come locali dei santuari esistevano in Sardegna già in epoca nuragica, è molto verosimile che non soltanto la cosa, cioè il tipo di locale, ma anche il suo nome sia nuragico.
Ed è proprio ciò che ho sostenuto nelle mie citate opere: cumbissía, cumbessía, cummissía, qumbissía è un relitto della lingua nuragica o - come ormai preferisco chiamarla - sardiana o protosarda. Esso è da confrontare a titolo di corradicalità - non di derivazione! - coi lat. cubare, -cumbere «giacere, coricarsi, dormire». E con ciò la cumbissía evidenzia col suo nome la prima e principale sua funzione, quella di «dormitorio». Non solo, ma dato che il vocabolo incubazione deriva chiaramente dai citati lat. cubare, (in)cumbere, è molto probabile che cumbissía significasse anche «dormitorio per la incubazione».
Sul piano formale non esiste alcuna difficoltà nello spiegare la struttura del vocabolo cumbíssia: esso infatti risulta caratterizzato da un suffisso sardiano -íss- e da un accento uguale a quello di pubulía «pioppo», pumpía «pompelmo», thurulía «poiana, gheppio», tiría «ginestra spinosa» ecc., tutti vocaboli sardiani(6).
Non deve stupire per nulla il fatto che le cumbissías, tanto come costruzioni quanto come nome risalgano tanto indietro nel tempo, fino all'epoca nuragica. In molti altri fatti linguistici ed anche etnologici la Sardegna risulta e si conferma come una terra di stupefacente conservatività.
Massimo Pittau
1) Roma 1999, editrice «Città Nuova», pgg. 243-245.
2) M. Pittau, Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi - saggio storico-linguistico, Sassari 1996. editore C. Delfino Editore, pgg. 83, 117; idem, Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, Cagliari 2000, E. Gasperini Editore, pg. 343; idem, La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001, E. Gasperini Editore, pg. 116.
3) Cfr. M. L. Wagner, Historische Wortbildungslehre des Sardischen, Bern, 1952, § 9.
4) Cfr. M. Pittau, La Sardegna Nuragica, Sassari 1988, V ristampa, §§ 35, 47, tavola 55; idem, Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi cit., figg. 21, 22, 23.
5) Cfr. La Sardegna Nuragica cit. § 43; Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi cit. § 27.
6) Vedi La Lingua Sardiana o dei Protosardi cit., pgg. 69, 174, 191, 196
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