Il guerriero Efisio
ha combattuto i Barbaricini

Il cosiddetto «Itinerario di Antonino» - Itinerarium Provinciarum, compilato sotto l'imperatore M. Aurelio Antonino, detto "Caracalla" (211-217 d. C.) – indica in Sardegna anche un tracciato di strada che andava da Olbia a Caralis passando nella zona interna e montana dell’Isola e toccando queste tre mansioni o stazioni intermedie: Caput Tyrsi, Sorabile (Fonni) e Biora (Isili; vedi). Siccome Caput Tyrsi si deve ovviamente intendere come «Capo o sorgente del Tirso», è avvenuto che gli storici moderni della Sardegna abbiano identificato questa località con quelle che attualmente sono ritenute e chiamate «Sorgenti del Tirso», che sono presso la Punta Pianedda poco ad oriente di Buddusò. Sta però di fatto che nel sito di queste cosiddette “Sorgenti del Tirso” non è stato mai trovato alcun riscontro archeologico di uno stanziamento romano, come non è stato trovato in alcuna delle altre località vicine, che di volta in volta è stata ritenuta e indicata come sede di quello stanziamento.
A nostro avviso, gli accennati storici moderni sono stati fuorviati nelle loro ricerche da quella che è la odierna cartografia della Sardegna, soprattutto quella delle carte militari, la quale ormai ha assunto un carattere ufficiale, perfino caratterizzata da precisi riflessi giuridici. Senonché, prima che si affermasse e si imponesse la cartografia ufficiale moderna, in Sardegna, come dappertutto, gli uomini potevano avere ed avevano differenti modi di concepire e di denominare, ad esempio, un corso d’acqua. Considerato che l’odierno corso ufficiale del Tirso nella sua parte inziale si identifica con quello che localmente si chiama Riu ‘e su Campu di Osidda, non è affatto detto che gli antichi considerassero questo ramo del fiume come quello principale, bensì potevano ritenere che il corso iniziale del fiume Tirso si identificasse con quello che ora compare come un suo affluente di sinistra, il Riu Mannu di Benetutti, quello che nasce ai piedi della Punta Camoretta (metri 858) e del Monte Saralói (metri 853) poco a ovest e a sud di Bitti e che si unisce al corso del fiume nei pressi delle terme di San Saturno di Benetutti. Si deve considerare con attenzione che in effetti il Riu ‘e su Campu di Osidda non è più lungo né più largo né infine più ricco d’acqua del Riu Mannu di Benetutti, anzi, tutt’altro. Ragion per cui poteva ben succedere che gli antichi intendessero come corso iniziale del fiume Tirso non il Riu ‘e su Campu di Osidda, bensì il Riu Mannu di Benetutti: lo stesso significato di Riu Mannu = «rivo grande» deve pur avere un suo preciso valore. Ovviamente questa nostra potrebbe sembrare una semplice diatriba del tutto teorica ed astratta; senonchè essa diventa una considerazione veramente concreta e pratica per effetto di un notevole ed importante ritrovamente archeologico che è stato effettuato di recente. In un sito già individuato e indicato da Antonio Taramelli presso la diruta chiesa di Sant’Efis nell’agro di Orune, ad iniziare dal 1992 gli archeologi hanno cominciato a scavare e hanno trovato un «insediamento romano assai esteso, circa 2 ettari, di tarda età imperiale». Fra gli altri materiali sono state rinvenute due monete, un follis bronzeo di Costantino coniato nel 316-317 ed un solidus aureo di Valentiniano II coniato fra il 426 ed il 431 d. C. L’archeologo scavatore, il prof. Alessandro Teatini dell’Università di Sassari, ha intravisto e detto esplicitamente che l’insediamento da lui scavato è situato nella linea dell’antico tracciato romano di strada che andava da Olbia a Caralis, ma non ha saputo indicare per esso alcun nome. Ebbene, a nostro giudizio, l’insediamento romano di Sant’Efis di Orune, che è situato non lontano dalla riva del citato riu Mannu, non era altro che la mansione di Caput Tyrsi indicata dall’«Itinerario di Antonino». E se ne deve trarre una prima conclusione: all’epoca della presenza dei Romani nella zona come corso iniziale del Tirso era considerato non il Riu ‘e su Campu di Osidda, bensì il Riu Mannu di Benetutti.
A nostro avviso per la durata dell’insediamento di Caput Tyrsi conosciamo due termini cronologici, iniziale e finale, anche se piuttosto generici: essi sono relativi al periodo della fondazione dell’insediamento e al periodo del probabile arrivo nel sito del culto di Sant’Efisio, noto martire sardo, decapitato a Nora durante la persecuzione di Diocleziano (303/305 d. C.). E precisamente il terminus ante quem è la data della compilazione del citato Itinerario di Antonino, anni 211-217 d. C., mentre il terminus post quem è il secolo VII d. C., non prima del quale, secondo la testimonianza del pontefice Gregorio Magno, il cristianesino è stato portato nelle zone interne dell’Isola, dunque in piena epoca bizantina. Pertanto la vita della mansione di Caput Tyrsi è certamente iniziata prima degli anni 211-217 d. C. (più avanti diremo quando) ed è durata almeno fino al secolo VII d. C, facciamo alla sua metà, anno 650 circa d. C.
A nostro parere non sarà privo di significato il fatto che come santo patrono di Caput Tyrsi sia stato scelto Sant’Efisio, il cui nome è richiamato anche dal Montricu ‘e su Márturu «Monticello del Martire», che è vicino alla chiesa: lo stanziamento aveva avuto origine da un presidio di militari romani ed il martire cristiano di Nora era stato pur’esso un militare, anzi un ufficiale dell’esercito romano. Non solo, ma è perfino verosimile che la scelta di Sant’Efisio come santo patrono sia stata determinata anche dal probabile ricordo che si aveva ancora della circostanza che Efisio, quando era ufficiale, anzi comandante di un esercito romano, aveva combattuto e vinto – come narra la Passio del santo - una Barbarica quaedam gens. Insomma è verosimile che a Caput Tyrsi si mantenesse ancora il ricordo del fatto che proprio in questa guarnigione e addirittura al suo comando Efisio avesse combattuto e vinto i sempre ribelli Iliesi/Barbaricini. Su questo preciso argomento è molto significativo anche il fatto che nell’intera Barbagia non esiste alcun’altra località dove sia documentato il culto di Sant’Efisio; le località più vicine in cui è realmente documentato sono Bono, Siniscola e Talana, le quali però non sono in Barbagia.
Alla nostra supposizione circa la probabile data di arrivo del culto di Sant’Efisio a Caput Tyrsi di Orune (secolo VII) non si oppone per nulla il fatto che i resti fino ad ora trovati della chiesa diruta riportino ad un’epoca molto più recente, dato che è logico ritenere che il culto di questo martire sia durato ancora a lungo nel tempo, nonostante la scomparsa dello stanziamento umano. D’altronde lo stesso archeologo scavatore si è dichiarato convinto di poter trovare, sotto l’abbondante materiale di crollo, i resti o i segni della chiesa precedente ed originaria. C’è infatti da ritenere che l’originario presidio militare di Caput Tyrsi non avrà tardato ad assumere il carattere di un normale stanziamento umano, dato che è indubitabile che i militari romani non avranno tardato ad unirsi e a far figli con donne locali (cfr. Barbagia). Non costituisce inoltre una difficoltà il fatto che sino ad ora nel sito scavato non è stata trovata alcuna arma: in Barbagia le prime cose che spariscono sono appunto le armi.
La circostanza poi che nessuno dei documenti sardi del Medioevo citi mai quel centro abitato è un segno evidente che esso era ormai scomparso da qualche secolo. Quale sarà stata la ragione della sua scomparsa? A nostro avviso una di queste due: o il villaggio è stato distrutto dai perenni ribelli Barbaricini (con in testa i vicini Orunesi e Lollovesi), come è avvenuto per Usellus e Valenza (vedi), oppure è stato distrutto da qualche peste, come è capitato nel passato per numerosi centri abitati dell’Isola. Comunque è perfino probabile che qualche gruppo di abitanti di Caput Tyrsi si sia rifugiato nei vicini paesi di Nùoro e di Bitti, offrendo in questo modo una adeguata spiegazione di quel vistoso e importante dato linguistico che è il carattere genuino, arcaico e conservativo dei dialetti nuorese e bittese rispetto a tutti gli altri sardi e pure rispetto a tutti i parlari neolatini o romanzi.
Sia questo carattere arcaico e conservativo dei dialetti di Nùoro e di Bitti, sia una particolare circostanza archeologica e toponomastica ci offrono probabilmente la data quasi esatta della fondazione di Caput Tyrsi. Da una parte è un fatto quasi certo che i dialetti che tuttora si parlano nel Nuorese e nella Baronia sono da riportare alla lingua latina degli ultimi decenni della repubblica ed ai primi dell’impero; dall’altra parte la fondazione del forum Augusti (= Austis; vedi) nel cuore più centrale e più alto delle montagne dell’Isola ci assicura che qualche anno prima della morte di Augusto (14 d. C.) si è avuta la massima pressione effettuata da Roma contro i ribelli Iliesi/Barbaricini. E dunque noi riteniamo che pure l’insediamento militare romano di Caput Tyrsi sia stato effettuato nella medesima circostanza ed operazione e nel medesimo torno di anni, cioè qualche anno prima del 14 d. C.
E siamo anche in grado di individuare ed indicare in maniera quasi certa il centro militare dal quale sarà venuto il reparto che ha fondato Caput Tyrsi: considerato che nell’accampamento romano di Castra, fondato all’epoca di Augusto presso Oschiri (Meloni, Rom.2 310; Mastino, StSarAnt 543) è accertata la presenza di una III coorte di Aquitani ed inoltre che un militare di questo reparto fu sepolto nell’altipiano di Bitti, come dimostra la sua iscrizione funeraria del I secolo d. C, se ne può legittimamente dedurre che il reparto che ha fondato Caput Tyrsi era un “distaccamento” appunto della III coorte di Aquitani. La qual cosa viene confermata da una circosanza che ci ha segnalato il nostro collega prof. Raimondo Turtas: in epoca medioevale Orune apparteneva alla diocesi di Castra.
Ma oltre che centro di operazioni militari, Caput Tyrsi è stato il principale centro di diffusione della latinità linguistica nell’intera zona circostante, dove ha lasciato anche questi stupefacenti relitti onomastici: Asproni, Calvisi, Curreli, Doschiane, Mameli, Marcheddine, Marongiu, Masuri, Monni, Serusi, Silveri, Useli, Valeri, Verachi, ecc, i quali sono da riportare rispettivamente ai gentilizi o cognomina latini Aspro,-onis, Calvisius, Cornelius o Currelius, Tuscianus, Mamelius, Marcellinus, Masurius, Maronius, Monnius, Selusius, Silverius, *Uselius, Valerius, Veracius, tutti - meno uno - nella forma del vocativo. Ancora stupefacente è, ad alcuni chilometri ad oriente di Sant’Efis e poco a nord di Orume, il toponimo Marte: ci sarà stata almeno un’edicola dedicata al dio romano della guerra.
Sono infine da fare alcune precisazioni: I) Le miglia di distanza di Caput Tyrsi da Olbia e da Sorabile indicate dall’Itinerario di Antonino (rispettivamente XL e XLV) non sono in grado né di confermare né di smentire la localizzazione della mansione, dato che purtroppo le indicazioni numeriche fornite dal testo conservatoci dell’Itinerario Antoniniano spesso risultano guaste. II) Siccome nel sardo odierno il vocabolo márture, márturu significa solamente «invalido, disabile, paralitico, pigro» (DILS), se ne deve dedurre – come ci ha suggerito ancora il collega R. Turtas – che nel toponimo su Márturu vicino alla chiesa di Sant’Efis di Orune si conserva ancora il suo significato originario di «il Martire». III) La forma dell’antroponimo Efis sarà derivata da *Efisi, vocativo di Efisius, con la successiva caduta della finale –i in quanto scambiata per una vocale paragogica od epitetica (GLSL 36-37).


Massimo Pittau


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