L’accabadura in Sardegna
ovvero l’eutanasia o “buona morte”

Mi dispiace di dover dare torto all’amico Antoni Arca, il quale di recente ha scritto in questo quotidiano di non credere che sia mai esistita in Sardegna l’usanza dell’accabbadura, ossia della “buona morte”, praticata dalle accabbadoras (ma anche dagli accabbadores) su individui in lunga e dolorosa agonia. Evidentemente egli non ha letto l’articolo di Maria Giuseppa Cabiddu, pubblicato nei «Quaderni Bolotanesi» del 1989, num. 15, pgg. 343-368. Si tratta di uno studio molto accurato, circostanziato di fatti, di testimonianze e di bibliografia, il quale non lascia spazio a ragionevoli dubbi intorno al fenomeno studiato ed esposto dalla ricercatrice. Costei presenta anche una lunga testimonianza fàttale da un suo concittadino di Orune, nato nel 1910, testimonianza che praticamente riportava indietro i fatti narrati soltanto di qualche decennio.
D’altronde nel mio libro Lingua e civiltà di Sardegna (II, Cagliari 2004, ediz. della Torre, pg. 20) ho scritto testualmente: «dal mensile di Cagliari “Il Messaggero Sardo”, del febbraio 2004, sono venuto a conoscenza di un fatto quasi incredibile: un anziano emigrato ha scritto di avere il ricordo chiaro di due casi di eutanasia, effettuata da accabbadoras a Cuglieri, dopo la I guerra mondiale, nei primi anni Venti…. In paese se ne parlava in modo molto sommesso e riservato…».
Ancora più recente è la testimonianza riportata da Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano, nel loro libretto Eutanasia ante litteram in Sardegna (Cagliari 2003, pgg. 86-87), i quali dopo aver seguito passo passo lo studio della Cabiddu, riferiscono due episodi di accabbadura, uno avvenuto a Luras nel 1929 e l’altro avvenuto ad Orgosolo addirittura nel 1952….
Anche Franco Fresi, in alcuni suoi scritti ed interventi, ha riportato la testimonianza di casi di accabbadura avvenuti in epoca recente in Gallura e provocati anche col colpo di un martello di legno sul cervelletto oppure su una delle tempie del malcapitato, martello di cui tuttora esiste un esemplare nel «Museo Etnografico» di Luras.
Anche io, nell’altra mia recente opera Storia dei Sardi Nuragici (Selargius 2007, Domus de Janas edit., pg. 276) ho pubblicato la fotografia di questo martello ed insieme, come pendant tipico degli Etruschi, la raffigurazione di un demone infernale che tiene sollevato un martello come strumento di morte.
Infine segnalo di aver avuto ieri la notizia di un recentissimo libro di Dolores Turchi intitolato Ho visto agire s’accabbadora – la prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabbadora (con dvd allegato) (edizione IRIS, Oliena, NU).
Però voglio concludere con una notazione propriamente linguistica: se in tutta la Sardegna centrale ed anche nella Gallura fino a mezzo secolo fa erano conosciuti i vocaboli accabbadore, accabbadora e accabbadura, significa che essi facevano riferimento esatto, non a leggende inventate, ma a fatti reali e concreti.

Massimo Pittau


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