Valore della documentazione

della Lingua Etrusca




È da circa quarant’anni che io mi dedico allo studio della lingua etrusca, però assieme a quello di altre lingue vicine all’etrusco nello spazio e nel tempo, cioè il latino, il greco, il protosardo o paleosardo. Sia pure per il semplice effetto della mia salute e della mia longevità, io sono il linguista storico che ha dedicato un così ampio lasso di tempo alla lingua etrusca. Ed ho pubblicato su di essa una quindicina di libri e un centinaio di studi.
Di fatto io ho analizzato, studiato e tentato di interpretare tutti i relitti di questa lingua, epigrafici e letterari, i quali assommano alla cifra di circa 12.000. Questi adesso sono registrati nel Corpus inscriptionum etruscarum (CIE) e ormai anche nel Thesaurus Linguae Etruscae (ThLE, I edizione 1978, II edizione 2009). Non si può negare: si tratta di una somma quasi stupefacente, la quale ci assicura in maniera assoluta che è un grave errore la considerazione ancora troppo spesso ripetuta che “della lingua etrusca non si sa proprio nulla”. Molte altre lingue frammentarie antiche sono assai lungi dal presentare una documentazione così ampia ed anche così varia.
Questi testi appartengono a sei differenti gruppi: I) Epigrafi funerarie o epitaffi; II) Iscrizioni dedicatorie o di donazione; III) Tabellae defixionis; IV) Due libri religiosi: Liber linteus e Tabula Capuana; V) Due testi giuridici: Cippus perusinus e Tabula Cortonensis; VI) Scritte su specchi e su gemme.
Tutto ciò premesso, con la mia acquisita esperienza di un quarantennio circa di studio, mi sento in grado di poter formulare un giudizio motivato sul “valore della documentazione della lingua etrusca”. Che espongo nelle considerazioni seguenti.

§ 1. Data soprattutto la ben conosciuta frammentazione politica degli Etruschi, il valore della documentazione varia moltissimo fra uno scritto etrusco e l’altro a seconda della sua diffusione spaziale o geografica. Uno scritto etrusco rinvenuto a Pontecagnano può essere molto differente in valore documentario da quello rinvenuto a Marsiglia.

§ 2. Il valore della documentazione varia moltissimo fra uno scritto etrusco e l’altro a seconda della sua diffusione cronologica o temporale. Uno scritto etrusco risalente al secolo VII avanti Cristo può essere molto differente in valore documentario da quello risalente al I secolo dopo Cristo.

§ 3. La differenza di valore degli scribi o incisori e scrittori delle varie iscrizioni etrusche varia moltissimo di volta in volta.
Si ritrovano oggetti (vasi o bronzi o statue, tombe, ecc.) sui quali risultano scritti effettuati da I) chi scrive il proprio nome su un oggetto, come un vaso, per dichiararne la personale proprietà; II) chi scrive su un oggetto regalato il proprio nome e il nome del donatario (in genere una donna); III) chi vi scrive anche una dedica; IV) chi regala un oggetto di lusso in ceramica o in metallo che porta inciso pure il nome di personaggi mitologici; V) chi scrive su una tomba il nome e il gentilizio di un defunto; VI) chi vi scrive anche il nome dei parenti stretti e dei discendenti; VII) chi vi scrive anche l’epitaffio, cioè l’elenco delle cariche onorifiche che ha avuto in vita; VIII) chi effettua una tabella defixionis, cioè la consacrazione di persone odiate alle divinità infernali; IX) chi scrive e adopera sortes divinatorie per tentare di conoscere il futuro di un richiedente; X) chi scrive accordi giuridici fra contendenti; XI) chi scrive interi Libri Rituales di carattere religioso.

§ 4. Da questo lungo elenco di estensori di iscrizioni o di scritti risultano due chiare logiche conclusioni: 1ª) Tra gli Etruschi la alfabetizzazione o capacità di leggere e di scrivere era ampiamente diffusa. Si ha quasi l’impressione che nella scrittura gli Etruschi trovassero perfino un grande diversivo; 2ª) La differenza delle rispettive capacità alfabetiche o scrittorie tra gli individui del lungo elenco citato è enorme; si pensi alla differenza che poteva esistere fra chi scriveva il nome e il gentilizio di un suo defunto graffiandolo su una semplice tegola funeraria e lo scriba che invece scriveva o trascriveva un ampio testo di cerimonie e riti religiosi.

§ 5. Per tutti gli scritti etruschi, epigrafici e letterari, entra pure in gioco la eventualità di errori di scrittura più o meno gravi. E di fatto alcuni errori di scrittura siamo già stati in grado di trovarli e di segnalarli.

§ 6. Si riesce a capire bene che esistevano sodalizi di scribi che operavano in botteghe funerarie presso i cimiteri, pronti a mettersi a disposizione dei parenti dei defunti per trascrivere il loro nome e gentilizio, il parentado e l’epitaffio.
Ed esistevano sodalizi di scribi anche presso le amministrazioni pubbliche e giudiziarie e presso i grandi centri religiosi pronti a scrivere testi sacri, sentenze ed accordi giuridici e pure pronti a dettare testi di dedicazione incisi su vasi, statue, bronzi e bronzetti offerti alle varie divinità.

§ 7. Ebbene, in una così ampia gamma di differenze spaziali, temporali e culturali esistente fra ciascuna delle iscrizioni, è del tutto illegittimo tentare di formulare conclusioni certe ed univoche sulla lingua etrusca - lessicali e grammaticali -.
Dispiace di doverlo concludere, ma lo si deve fare: nonostante la vastissima documentazione esistente, e nonostante lo sforzo immane sostenuto da moltissimi etruscologi sulla lingua etrusca - lessico e grammatica - niente è certo, ma tutto è semplicemente probabile, più o meno probabile, tutto è aleatorio. E niente, assolutamente niente assicura che nel futuro le cose cambieranno circa l’ermeneutica di questa antica e pur illustre lingua.

§ 8. Circa la reale aleatorietà di qualsiasi proposta effettuata su un problema di ermeneutica etrusca, è molto significativo e direi paradigmatico il caso delle lunghe discussioni che si sono fatte una trentina di anni fa sulla interpretazione e traduzione dell’iscrizione MI ARAΘIALE ZIXUXE (ET, Fa 6.3 – 7:m; su arhyballos).

Ebbene, da questo solo ed unico caso si è voluta trarre la enorme conclusione che in etrusco esistesse pure la forma del passivo differente ed opposto all’attivo, consistente nella opposizione -CE, -KE/-XE, per cui si è accettata quasi universalmente la ipotesi che l’iscrizione dovesse essere tradotta «io sono stato disegnato per Arrunte». E da allora è quasi ipotesi universalmente accettata che tutti i preteriti etruschi in -XE siano da tradurre al passivo. Ed invece era una conclusione eccessiva, del tutto immotivata, tratta – come già detto – da un solo ed unico caso.
Io invece ho sempre respinto questa ipotesi ed ho proposto di tradurre la frase come «Mi hanno disegnato per Arrunte», cioè col preterito attivo al plurale (è del tutto certo che l'etr. MI può essere soggetto ego oppure oggetto me e che la 3ª pers. plur. è uguale alla 3ª sing.). Ed insieme ho continuato a interpretare e tradurre con tranquillità tutti i verbi in –XE come preterito attivo.

Massimo Pittau, 2017



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