DIZIONARIO GENERALE

DELLA LINGUA ETRUSCA

 

di Massimo Pittau

dell'Università di Sassari

 (sotto stampa)

 

PREMESSA

1. La mia specializzazione professionale e linguistica è propriamente relativa alla «lingua sarda», che è quella mia nativa e che tutti sanno essere di matrice neolatina o romanza. Essendomi però interessato sempre ed a fondo anche della lingua che i Sardi parlavano prima della loro latinizzazione, la lingua "protosarda o paleosarda", quella che io ho iniziato a chiamare «lingua sardiana», circa trent'anni fa mi sono imbattuto in alcuni vocaboli sardiani che mi sembrava avessero una corrispondenza con altrettanti vocaboli della lingua etrusca. A spingermi in questa direzione di studio probabilmente era stato anche il fatto che già qualche decennio prima altri due linguisti avevano sostenuto esservi una qualche connessione tra la lingua sardiana e quella etrusca, Johannes Hubschmid e Gian Domenico Serra. Pertanto, per proseguire in questa direzione di studio ovviamente mi sono dovuto interessare ex professo ed a fondo anche della «lingua etrusca». E preciso che l'inizio del mio interesse specifico per la lingua etrusca risale a circa trent'anni or sono.

Questo mio interesse di studio per la lingua etrusca ha trovato una forte spina ad intensificarsi, soprattutto quando nel 1978, per merito di Massimo Pallottino e dei suoi collaboratori, comparve il Thesaurus Linguae Etruscae - I Indice Lessicale. Come risultato di questo mio interesse di studio sia per la lingua sardiana sia per quella etrusca, mi sono sentito in grado di pubblicare, ovviamente a distanza di anni, queste tre mie opere: La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi (1981), Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico (1984), Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi - saggio storico-linguistico (1996).

Ai fini specifici dello studio che conducevo, avevo proceduto a schedare l'intero materiale lessicale del citato Thesaurus Linguae Etruscae, inserendo di volta in volta nella scheda di ciascun lessema tutte le notazioni che mi sembrava di avere acquisito come risultato sia delle scoperte fatte dagli etruscologi precedenti, sia delle scoperte mie personali. Si sappia pertanto che questo mio Dizionario Generale della Lingua Etrusca (sigla DIGLE) è stato da me iniziato nel 1978, per cui esso ha una gestazione che è durata 25 anni.

D'altra parte nel frattempo ho pubblicato, oltre che diversi studi in riviste specializzate, le mie seguenti opere dedicate esclusivamente alla lingua etrusca: Testi Etruschi tradotti e commentati - con vocabolario (1990), La Lingua Etrusca - grammatica e lessico (1997), Tabula Cortonensis - Lamine di Pirgi e altri testi etruschi tradotti e commentati (2000).

Ad affrettare ed a perfezionare il mio progetto di comporre questo mio DIGLE è intervenuto nel 1991 un importante evento linguistico ed editoriale: la pubblicazione dell'opera di Helmut Rix, Etruskische Texte, Editio Minor, I Einleitung, Konkordanz, Indices; II Texte (1991) (sigla ET). Quest'opera ampia e fondamentale implica i seguenti notevoli miglioramenti rispetto al precedente pur valido Thesaurus Linguae Etruscae: innanzi tutto il Rix ed i suoi collaboratori hanno sottoposto ad una nuova autopsia molte iscrizioni etrusche, col risultato finale che parecchie sono state lette meglio e quindi emendate rispetto alla lettura precedente. In secondo luogo, mentre il Thesaurus Linguae Etruscae presenta il materiale linguistico lessema per lessema, con rari e brevi riferimenti ai dati contestuali in cui ciascuno compare nelle iscrizioni, gli Etruskische Texte, oltre che l'indice di tutti i lessemi, presenta la serie completa di tutte le iscrizioni etrusche finora ritrovate. Queste risultano trascritte al completo assieme con le utilissime indicazioni di luogo e con quelle - almeno generiche - di tempo, tutte raggrupate a seconda della loro caratteristica o tipologia fondamentale (iscrizioni funerarie, di possesso, di regalo, di dedica, ecc.).

La mia accettazione dei dati documentari offerti dagli Etruskische Texte non poteva che essere totale, come del resto è stata totale anche da parte di tutti gli altri etruscologi viventi. Anche io infatti ho accettato non solo la lettura che il Rix ha dato delle varie iscrizioni etrusche, ma ho accettato anche il sistema di classificazione che egli ha adottato per ciascuna di esse. Solo raramente mi sono discostato dal Rix nella lettura di qualche iscrizione ed inoltre non ho accettato un certo limitato numero di sue ricostruzioni od esplicazioni di vocaboli, alcune volte perché mi sono sembrate non necessarie, altre volte perché mi sono sembrate non condivisibili.

Soprattutto non ho accettato - come d'altronde quasi tutti gli altri etruscologi stanno mostrando di non accettare - la trascrizione che il Rix ha adottato per le due sibilanti etrusche, sigma e san (o sade), con ben otto differenti grafemi; che sono indubbiamente troppi ed inoltre sono contrari alla convenzione tradizionale e ormai pacifica tra gli specialisti della lingua etrusca circa la trascrizione di quei due fonemi. E d'altra parte è appena il caso di ricordare che in linguistica è regola assoluta che un fonema sia indicato da un solo grafema e viceversa. L'uso di otto grafemi non soltanto va contro il saggissimo principio medioevale che diceva non sunt multiplicanda entia sine necessitate, ma può anche spingere all'errore di credere che in etrusco esistessero ben otto differenti sibilanti...

D'altra parte preciso ed anticipo che io ho apportato un certo miglioramento documentario agli Etruskische Texte, perché in questo mio DIGLE risulta anche una appendice di 78 lessemi che nell'Index generale dell'opera del Rix risultano mancanti, non recepiti dai computer adoperati, quasi certamente perché avevano un numero troppo elevato di lettere.

Inoltre preciso che, oltre a tutto il materiale lessicale etrusco registrato negli Etruskische Texte, in questo mio Dizionario Generale della Lingua Etrusca risulta registrato e studiato tutto quello che è stato rinvenuto dopo la pubblicazione dell'opera del Rix (anno 1991) per effetto di nuovi ritrovamenti e che è stato pubblicato nella rivista «Studi Etruschi», fino alla sua ultima annata, che è quella dell'anno 2001.

2. Come tutti i vocabolari o dizionari relativi a lingue antiche, anche questo mio DIGLE implica ovviamente un procedimento di "traduzione" o almeno di "proposta di traduzione" dalla lingua etrusca studiata alla lingua con la quale essa viene studiata (in questo caso la lingua italiana). Ed ancora ovviamente in questo procedimento di "traduzione" o di "proposta di traduzione" mi sono impegnato a far entrare nel mio Dizionario tutti i risultati interpretativi che sono stati finora raggiunti ed acquisiti dagli etruscologi precedenti, rispetto ai quali naturalmente ho effettuato un'opera di selezione e di revisione. Ai risultati interpretativi conseguiti dagli altri linguisti ovviamente ho aggiunto anche quelli che mi sembra di avere raggiunto ed acquisito io personalmente.

Circa i risultati da me conseguiti in fatto di interpretazione o di ermeneutica della lingua etrusca debbo segnalare e sottolineare che essi sono venuti soprattutto per effetto della grande quantità di lessemi e di fenomeni grammaticali che ho preso in esame, analizzato e studiato e precisamente di tutti quelli disponibili. In ciò sono stato aiutato enormemente dall'uso del computer - validamente seguito da mio genero dott. Filippo Pinna - sia ai fini della ricerca sia ai fini della comparazione.

Debbo però anche precisare che il computer in quanto tale non "scopre" mai nulla e tanto meno "inventa" qualcosa di nuovo, almeno nel campo delle discipline umanistiche e storiche; in queste esso è solamente uno strumento utilissimo di aiuto per gli studiosi ai fini delle loro "scoperte" e delle loro "invenzioni" e soprattutto velocizza enormemente la loro ricerca e il loro studio.

3. Le modalità secondo cui è impostato questo mio DIGLE sono le seguenti. Trattandosi di un vocabolario, ovviamente i vocaboli o lessemi vi risultano indicati singolarmente e in stretto ordine alfabetico etrusco. I lessemi che vi risultano raccolti, analizzati e, per quanto è possibile, delucidati sia nei loro valori semantici sia nelle loro notazioni grammaticali, raggiungono la cifra complessiva di circa 8.500 lessemi.

a) Ciascun lessema viene trascritto secondo l'ormai tradizionale andamento destrorso e sempre in carattere corsivo, anche con l'indicazione delle ricostruzioni proposte, delle espunzioni effettuate oppure con lo svolgimento delle abbreviazioni; ad es. [Arn]theal, Vel[u]s[i]; Ari<ari>tinial, Luvkhumes<ai>; Atharina(l), Etri(al).

Risulta invece tralasciata del tutto la punteggiatura originale, sia quella segnata nell'ambito di ciascun vocabolo (interpunzione sillabica), sia quella segnata fra un vocabolo e l'altro, per il fatto che quella usanza grafica degli Etruschi è quasi del tutto irrilevante ai fini della finalità ermeneutica od interpretativa che ho scelto e privilegiato in questa mia opera. La separazione tra un vocabolo e l'altro nell'ambito di una iscrizione è indicata con uno spazio vuoto od intervallo, come si fa in tutte le lingue moderne e come del resto si fa quasi sempre da parte degli studiosi con la stessa lingua etrusca. In maniera analoga risulta tralasciata la indicazione della andata a capo nelle iscrizioni etrusche poste su più righe, esclusi i casi in cui essa implichi anche uno stacco concettuale significativo; in quest'ultimo caso ho fatto uso della barra diagonale destrorsa / per indicare la diversità delle righe e della barra diagonale sinistrorsa \ per indicare la diversità dei posti del medesimo supporto in cui risultano scritte le diverse parti di una medesima iscrizione.

Inoltre sono stati tralasciati molti spezzoni di lessemi, soprattutto quando risultavano troppo corti.

Infine sono state tralasciate anche le indicazioni di lettura incerta per lettere di determinati vocaboli, a meno che io non abbia intravisto ed indicato quella che a me sembra la lettura esatta oppure la più probabile. Su questo particolare punto è ovvio che un linguista che non abbia la possibilità di procedere alla autopsia di una o di più iscrizioni, ha il dovere ed anche l'interesse a fidarsi delle proposte che su di esse hanno fatto gli epigrafisti che invece quella autopsia hanno effettuato.

Per ciascun lessema vengono date la sigla e le notazioni numeriche che sono adoperate dagli Etruskische Texte del Rix circa la sua esatta attestazione. Però ho ridotto alquanto quelle notazioni numeriche che negli Etruskische Texte risultano numerosissime per i lessemi più comuni, ad es. per i prenomi.

b) I lessemi che costituiscono altrettanti antroponimi, teonimi, toponimi od etnici vengono trascritti con la consonante iniziale maiuscola, proprio come hanno fatto altri etruscologi precedenti, ad es., Massimo Pallottino nella sua raccolta Testimonia Linguae Etruscae, e Carlo De Simone nella sua opera Die Griechischen Entlehnungen im Etruskischen (1970). Siccome un qualsiasi vocabolario di una qualsiasi lingua ovviamente si ispira a criteri ermeneutici o di "interpretazione", è evidente che l'individuare e il distinguere anche graficamente gli antroponimi rispetto agli appellativi, ai verbi, ecc. è per l'appunto già un importante fatto di "interpretazione". A maggior ragione si imponeva questa esigenza, in quanto - come è noto a tutti - l'immensa maggioranza dei lessemi etruschi conservati è costituita da antroponimi (prenomi, gentilizi e cognomina), ragion per cui, evidenziati questi con l'iniziale maiuscola, vengono ovviamente e facilmente isolati ed individuati gli appellativi, i verbi ecc., su molti dei quali resta e s'impone il grave problema della effettiva interpretazione semantica e di quella grammaticale.

c) È cosa abbastanza nota che la antropominia etrusca corrisponde in larga misura a quella latina e viceversa, come ha luminosamente dimostrato la geniale opera di Wilhelm Schulze, Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen (1904) (sigla LEN). Col mio presente DIGLE io mi lusingo di avere ulteriormente ampliato l'entità di quella corrispondenza; ed ho fatto ciò sia come effetto delle numerose nuove iscrizioni etrusche rinvenute dal 1904 ad oggi, sia in virtù dell'altro importante e più recente libro dei prosecutori dell'opera dello Schulze, Heikki Solin et Olli Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum Latinorum (1988) (sigla RNG). Come risultato di questa mia ricerca segnalo e sottolineo che ho riscontrato che circa l'80% degli antroponimi etruschi corrispondono, in maniera più o meno certa o probabile o ipotetica, ad altrettanti antroponimi latini e precisamente a numero 1586 antroponimi latini.

Questa larga e larghissima corrispondenza della antroponimia etrusca con quella latina è carica di un importante significato sul piano propriamente socio-politico-culturale: essa dimostra chiaramente che le due società, quella etrusca e quella romana, hanno vissuto a lungo in forte colleganza ed anche commistione, quasi in stretta simbiosi, soprattutto nei secoli della monarchia vigente a Roma e della repubblica. (Del resto c'è appena da accennare al fatto che all'inizio Roma sarà stata una città mista, socialmente e linguisticamente mista, dato che era sorta esattamente sul confine tra l'Etruria e il Latium Vetus, che era il fiume Tevere. E non a caso lo stesso nome di Roma è molto probabilmente etrusco, uguale al vocabolo etrusco-latino ruma «mammella, seno», indicante la grande "insenatura" che il Tevere fa di fronte all'isola Tiberina; LEGL 2ª Appendice). In maniera più specifica, sul piano propriamente linguistico, quella corrispondenza lascia intravedere che molti vocaboli etruschi - assai più numerosi di quanto si è fino ad ora pensato - siano entrati nel lessico latino ed inversamente molti vocaboli latini siano entrati nel lessico etrusco.

Ed è anche possibile e lecito trovare ed indicare per questo reciproco scambio lessicale tra le due lingue un discrimine di carattere cronologico: all'inizio, all'epoca della monarchia, quando perfino una dinastia etrusca, quella dei Tarquini, tenne lo scettro a Roma per più di un secolo, l'influsso linguistico etrusco sulla lingua latina sarà stato prevalente rispetto a quello latino sulla lingua etrusca. In seguito, all'epoca della repubblica, quando i Romani riuscirono a penetrare in Etruria, conquistando una città etrusca dopo l'altra, l'influsso linguistico latino sarà stato prevalente rispetto a quello inverso etrusco.

d) È cosa abbastanza nota che in tutte le lingue gli antroponimi hanno un valore individuale, in quanto denotano od indicano un singolo individuo umano o un singolo gruppo familiare o sociale; ma in origine tutti gli antroponimi erano altrettanti appellativi (sostantivi od aggettivi sostantivati), i quali invece denotavano o indicavano un genere o una specie o una classe. Questo fatto - ormai sicuramente accertato - implica che gli antroponimi, latini ed etruschi, non indicano solamente un singolo individuo o una singola famiglia o gens, ma in molti casi richiamano anche altrettanti appellativi, latini od etruschi. Ad es., i gentilizi lat. Claudius e Plaut(i)us, corrispondenti rispettivamente a quelli etr. Clavtie e Plaute, richiamano anche gli aggettivi lat. claudus «zoppo, zoppicante, claudicante» e plautus «piatto, largo». E questo fatto implica che probabilmente nella lingua etrusca esistevano anche gli aggettivi *clavte «zoppo, zoppicante, claudicante» e *plaute «piatto, largo». Questa probabile evenienza è di grande importanza circa la eventuale interpretazione e traduzione di vocaboli della lingua etrusca, sia riguardo a vocaboli già documentati e conosciuti, magari semplicemente omoradicali, sia rispetto ad altri di eventuale rinvenimento futuro. Per questa ragione ho deciso di indicare di volta in volta non soltanto gli antroponimi latini corrispondenti a quelli etruschi, ma - quando era possibile - anche i corrispondenti appellativi latini. Es.: Alapu «Alapone», gentilizio o cognomen masch., da confrontare con quello lat. Alapo,-onis, nonché col lat. alapa «ceffone, schiaffo»; Alne «Alnio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Alnius, nonché col lat. alnus «alno». E tutto questo risulta evidenziato anche nell'apposito «Indice latino-etrusco» posto in appendice.

Riassumendo questo importante punto dico che la accertata larga corrispondenza degli antroponimi etruschi con quelli latini costituisce una importante prospettiva e direzione nella ermeneutica od interpretazione della lingua etrusca: siccome è molto probabile che siano stati numerosi i vocaboli latini entrati nella lingua etrusca - molto più numerosi di quanto si è fino ad ora pensato -, ai fini della interpretazione dei singoli vocaboli etruschi è del tutto lecito ed anche funzionale od utile fare riferimento ad altrettanti vocaboli latini, che già nella veste fonetica si presentino come eventualmente corradicali od omoradicali con quelli etruschi da interpretare. Ed esattamente preciso che io ho acquisito ed indicato nell'«Indice latino-etrusco» ben 487 vocaboli latini che in maniera più o meno certa o probabile o ipotetica trovano o possono trovare corrispondenza in altrettanti vocaboli etruschi; che è una quantità non trascurabile di vocaboli!

e) La accertata corrispondenza fonetica di antroponimi etruschi con altrettanti latini si è rivelata molto utile non soltanto perché spesso ha consentito di interpretare con tutta facilità che un dato vocabolo etrusco era appunto un antroponimo e non un appellativo od un verbo (ad es. ar since = «Arunte Sincio» e non ar[u]since verbo; SE 54, 1988, 176), ma anche perché in primo luogo ha fatto cadere i dubbi di falsità che esistevano a carico di certi antroponimi etruschi, in secondo luogo perché talvolta ha consentito la esatta ricostruzione di un antroponimo etrusco a noi pervenuto epigraficamente guasto, infine perché talvolta ha dimostrato essere del tutto inutile una ricostruzione ipotetica di antroponimi che si supponevano guasti.

f) Ritengo importante anticipare e precisare che rispetto agli antroponimi etruschi, pure nelle iscrizioni da me tradotte, ho proceduto ad effettuare la "traduzione" in base alle forme dei corrispondenti antroponimi latini: ad es. Afle «Afilio» (cfr. lat. Afilius); Petru «Petrone» (cfr. cognomem lat. Petro,-onis); Tamsnies «di Tamsinio» (cfr. lat. Tamsinius) ecc. Nei casi in cui non ho trovato la corrispondenza tra un antroponimo etrusco ed uno latino, ho proceduto a "tradurre" anche il primo come se il secondo sia effettivamente esistito e rispetto a questo ho effettuato la "traduzione" foneticamente presumibile, ma facendola precedere da un asterisco, come si usa in linguistica per indicare un lessema supposto ma non realmente attestato: Pvnace «*Punacio», Tarcste «*Tarcestio», Teitu «*Taetone».

Questa mia decisione di procedere a "tradurre" anche gli antroponimi etruschi è stata determinata da due fatti: in primo luogo, nella pratica effettiva pure degli antroponimi e dei teonini etruschi corrispondenti ad altrettanti greci, tutti siamo soliti "tradurre", ad es., Atunis come «Adone», Akhle come «Achille», Pultuce come «Polluce», ecc.; in secondo luogo perché è poco chiaro ed anche grammaticalmente errato adoperare formule come queste: Arznal «della Arznei», Caial «della Cai», Teusinal «della Teusinei», Petrual «della Petrui», Pumpual «della Pumpui», per il fatto che invece in questi cinque antroponimi femminili non risulta alcun articolo determinativo.

4. Ma ovviamente il vero problema della "traduzione" non esiste rispetto agli antroponimi etruschi, bensì esiste e si impone in modo pressante rispetto a tutti gli altri vocaboli, cioè rispetto ai sostantivi, agli aggettivi, numerali, pronomi, verbi, avverbi, preposizioni e congiunzioni. In linea generale è importante premettere e precisare che in fatto di "traduzione" dei lessemi etruschi - come del resto di quelli di una qualsiasi altra lingua antica - la glottologia o linguistica storica distingue e non può non distinguere tra i risultati conseguiti quelli certi, quelli probabili e quelli ipotetici (TETC pag. 20). Ebbene è assolutamente necessario farsi consapevoli che in linea generale i risultati formulati e proposti dalla linguistica storica, riguardo ad un qualsiasi dominio linguistico, nella immensa maggioranza dei casi sono semplicemente probabili, più o meno probabili, mentre quelli certi sono proporzionalmente assai meno numerosi. La ragione di ciò sta nel fatto che la linguistica storica non ha alcun vero e proprio strumento di accertamento o di controllo o di verifica, come sarebbe uno strumento uguale o almeno simile a quello di cui invece fanno uso le scienze della natura: l'esperimento e la sua ripetizione effettuati quanto e come si voglia. La linguistica storica - ma del resto anche tutte le discipline di carattere e di interesse storico - non possono far ripetere gli eventi passati e tanto meno sottoporli a verifica od a controllo, cioè ad esperimento. Ed è questa la esatta ragione per la quale il sentenziare della linguistica storica assai raramente è caratterizzato dalla nota della certezza, mentre nella immensa maggioranza dei casi è caratterizzato dalla sola nota della probabilità o - si può chiamare anche - della verosimiglianza, della maggiore o minore probabilità o verosimiglianza, secondo i singoli casi.

Del tutto convinto, come dichiaro di essere, di questo principio metodologico relativo alla nostra disciplina di specializzazione, si sappia che in questo mio DIGLE io faccio larghissimo uso dell'avverbio «probabilm.(ente)», anteposto alle interpretazioni o traduzioni proposte da me oppure anche da altri linguisti.

5. D'altra parte, oltre al pochissimo certo ed invece al moltissimo probabile che in questa mia opera ho prospettato rispetto ai singoli vocaboli ed alle singole frasi etrusche tradotte, io ho fatto entrare anche l'ipotetico. Circa due anni fa, in una affollata conferenza pubblica a cui ero presente anche io, un mio collega linguista, che aveva avuto sotto studio per alcuni anni la ormai famosa Tabula Cortonensis, col risultato finale di proporre solamente la traduzione di qualche sua piccola frase, riferendosi certamente a me - che invece avevo già pubblicato una proposta di traduzione intera di quella iscrizione - senza però citarmi, ebbe modo di dichiarare: «Chi tenta di tradurre la Tabula Cortonensis lo fa a suo rischio e pericolo!». Quel mio collega aveva ed ha perfetta ragione! Chi traduce lo fa sempre a suo rischio e pericolo; anche quando si mette a tradurre la più semplice delle iscrizioni etrusche o perfino la più semplice frase latina oppure greca. Rischia di sbagliare anche il linguista od il filologo che si metta a tradurre la più semplice delle favole di Fedro oppure di Esopo. È sufficiente che intervenga per lui un momento di distrazione ed ecco che egli corre il rischio ed il pericolo di incappare in un errore anche grave di interpretazione e di traduzione.

Eppure si ha l'obbligo di rischiare e non soltanto in linguistica storica, ma anche in una qualsiasi altra scienza. Il progresso in tutte le scienze, di qualsiasi carattere e tipo - "esatte", naturalistiche, storiche, ecc. - è proprio il risultato del rischio che ha corso uno scienziato, anzi dei rischi che hanno corso in generale tutti gli scienziati. I loro errori, effetto del loro rischiare, in realtà sono dappertutto il prezzo che si paga al progresso delle scienze, di una qualsiasi delle scienze. E questo fatto fa parte persino del pensare della gente comune, che lo esprime col noto proverbio «Chi non risica non rosica». Gli scienziati che non rischiano mai nel loro sentenziare non sono propriamente "scienziati", ma sono semplicemente "ripetitori" delle scoperte altrui. Io ho già avuto modo di scrivere che anche in linguistica «è molto meglio una ipotesi azzardata, che non nessuna ipotesi; infatti, da una ipotesi azzardata - che alla fine potrebbe anche risultare errata - prospettata da un linguista, potrà in seguito scaturire una ipotesi migliore e addirittura quella vincente, prospettata da un linguista successivo». Questo - ho detto - è l'esatto e profondo significato della nota tesi di G. W. F. Hegel della "positività dell'errore" (RIOn, VI, 1, 144).

Fatta questa premessa, dunque, preciso che nel presente DIGLE entrano non solamente il certo ed il probabile, ma entra anche l'ipotetico. E se per indicare il probabile io faccio larghissimo uso dell'avverbio «probabilm.(ente)», per indicare l'ipotetico invece faccio pure largo uso dell'altro avverbio «forse», preposto alla traduzione di un vocabolo o di una frase etrusca ed in più rafforzato da un punto interrogativo seguente, messo fra parentesi (?).

D'altra parte ovviamente esiste ancora un certo numero di lessemi etruschi per i quali non siamo ancora in grado di affermare nulla circa il loro effettivo valore semantico e circa le loro notazioni grammaticali. Per ciascuno di essi pertanto mi sono limitato a scrivere la frase «vocabolo di significato ignoto». Purtroppo il numero di questi «vocaboli etruschi di significato ignoto» è ancora abbastanza elevato e per risolvere il loro problema debbono ovviamente indirizzarsi gli sforzi ermeneutici concentrati di tutti i cultori della linguistica etrusca.

6. In questo DIGLE ciascun lessema o vocabolo viene trascritto secondo la esatta documentazione che ne abbiamo, ossia nella esatta forma delle note morfologiche che lo investono. Ciò significa che ciascun sostantivo od aggettivo non viene affatto riportato al caso nominativo oppure ciascun verbo non viene riportato alla sua forma del modo indicativo presente, 1ª pers. sing. o all'infinito (che d'altronde spesso neppure si conoscono), ma viene lasciato nelle sua forma effettivamente documentata e viene tradotto in quanto tale: ad es. clensi «al figlio» (in dativo sing.), clenarasi «ai figli» (in dativo plur.), celati «nella cella» (in locativo), caresri «da (far) costruire» (al gerundivo). È evidente che un accorgimento di questo genere apparirebbe del tutto puerile se lo usassimo nei dizionari della lingua latina oppure di quella greca, mentre è assolutamente indispensabile in un dizionario della lingua etrusca, nella sua caratteristica di lingua molto parzialmente e molto sparsamente documentata ed inoltre ancora poco conosciuta.

D'altronde per ciascun lessema vengono di volta in volta richiamate sempre anche le altre forme caratterizzate da altri differenti morfemi (a meno che esse non siamo strettamente contigue nell'ordine alfabetico) ed anche i lessemi aventi la medesima radice, ossia corradicali od omoradicali. Quest'ultimo fatto della omoradicalità, da me minutamente e accuratamente segnalata, è molto importante ai fini dell'ulteriore progresso nella conoscenza della lingua etrusca, dato che logicamente anche in questa lingua i lessemi erano legati fra loro nella modalità dei "grappoli radicali". Ed è perfino logico ritenere che le radici fondamentali dei lessemi etruschi non fossero neppure molto numerose, proprio come non sono molto numerose in nessuna lingua.

7. Come risulta da qualche esempio già da me fatto, ai fini della spiegazione dei lessemi analizzati io faccio uso della medesima strumentazione grammaticale - e della relativa terminologia - che si adopera nello studio della lingua latina e precisamente faccio riferimento alla medesima denominazione dei casi della declinazione dei sostantivi e degli aggettivi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, locativo, ablativo), dei modi e dei tempi della coniugazione dei verbi (indicativo, congiuntivo, gerundivo, participio, presente, preterito, ecc.). Ovviamente anche io riconosco che i contenuti ed i valori, ad es., del genitivo e del dativo latini non sono esattamente gli stessi di quelli corrispondenti etruschi; ma d'altra parte la medesima cosa si constata anche rispetto ai contenuti ed ai valori del genitivo e del dativo latini rispetto a quelli corrispondenti della lingua greca antica, e tuttavia è un fatto che la strumentazione grammaticale di stampo latino si adopera tranquillamente anche nell'analisi della lingua greca. L'applicazione effettiva, da me fatta nel presente DIGLE, della strumentazione grammaticale latina allo studio della lingua etrusca mi ha dato la piena convinzione che quella strumentazione, anche se non perfetta rispetto all'etrusco, pure è adeguata in misura e maniera sufficienti.

D'altra parte io non potevo né ho voluto derogare dalla ormai lunga tradizione di studi linguistici sull'etrusco condotti per almeno un secolo e mezzo da decine e decine di studiosi, i quali, anch'essi, hanno adoperato la strumentazione grammaticale latina con tutta tranquillità e con risultati positivi che sono sotto gli occhi di tutti. Io non potevo né ho voluto allontanarmi da quella lunga schiera di linguisti etruscologi, per andar dietro invece ad alcuni studiosi recenti, i quali si illudono di far progredire chissà quanto gli studi sulla lingua etrusca, avendo creato ex novo una nuova strumentazione grammaticale o - meglio - una nuova terminologia grammaticale, da adoperare soltanto nello studio della lingua etrusca. E ne è derivato - a mio modesto avviso - che questa nuova strumentazione grammaticale e terminologica, anziché portare chiarimenti e delucidazioni intorno alla lingua etrusca, ha contribuito notevolmente a portare ulteriore confusione ed oscurità. Ed era proprio quello che non ci voleva per la lingua etrusca!

Implicitamente questi studiosi recenti pagano ancora un tributo a quello che io ritengo che sia un autentico preconcetto o pseudoconcetto: essere la lingua etrusca completamente diversa da tutte le altre e non essere possibile connetterla o confrontarla con nessun'altra.

8. Totalmente libero come sono e dichiaro di essere dal citato pseudoconcetto, tutte le volte che mi è sembrato possibile, ho anche proceduto a stabilire un confronto o la comparazione di un lessema etrusco con uno corrispondente di altre lingue. Ovviamente questo procedimento di comparazione è stato possibile in maniera particolare con le lingue latina e greca, ma, per i motivi che ho spiegato in precedenza, soprattutto con la lingua latina. Es. Crespe «Crispio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Crispius, nonché col lat. crispus «crespo, ricciuto, mosso, ondulato»; Cumlnas «(di) Cumelio», gentilizio masch. in genitivo patronimico fossilizzato, da confrontare con quello lat. Cumelius, nonché col lat. cumulus «cumulo» (finora di etimologia incerta); Latherialkh (Latherial-kh) «e di Lateria», gentilizio femm. in genitivo, da confrontare con quello lat. Laterius, nonché col lat. later,-eris «mattone» (finora privo di etimologia).

Orbene, nei numerosi casi simili a questi citati, le possibilità di spiegazione derivativa od etimologica sono tre: o il lessema etrusco deriva da quello latino, o il lessema latino deriva da quello etrusco, o infine i due lessemi derivano l'uno indipendentemente dall'altro da una originaria base comune. E si comprende facilmente che la soluzione di questo problema si deve trovare lessema per lessema; cosa che io in questa mia opera non ho fatto, in quanto questo sarebbe stato un lavoro troppo lungo ed impegnativo, caratterizzandosi quest'opera addirittura come il *Dizionario Etimologico della Lingua Etrusca. Su questo particolare argomento io mi limito ad indicare come si possa procedere in questa ulteriore ricerca, richiamando quanto ritengo di aver fatto e conseguito nell'altra mia opera Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico (LELN).

Un lavoro di derivazione e quindi di etimologia vera e propria è stato invece anche da me fatto - in quanto fin troppo semplice e perfino ovvio - rispetto ai lessemi etruschi relativi alla mitologia greca: Aivas «Aiace», derivato dal greco Aíuas; Akhmemrun «Agamennone», derivato dal greco Agamémnon, ecc.

9. Oltre che la «traduzione» di molti lessemi etruschi (compresi gli antroponimi), nel presente DIGLE viene data la «traduzione» di circa 1600 iscrizioni, tradotte in maniera totale oppure parziale, secondo una interpretazione che viene data come certa oppure probabile o infine ipotetica. Queste iscrizioni tradotte figurano sotto la voce di quei lessemi che mi sono sembrati più significativi e inoltre di esse ho presentato anche un elenco completo, in un'altra appendice, con le indicazioni abbreviate adottate dagli Etruskische Texte di H. Rix, ma in stretto ordine alfabetico latino.

Nella traduzione di queste iscrizioni etrusche mi sono ispirato al criterio di tradurre o di tentare di tradurre le iscrizioni lunghe e complesse e di tralasciare invece quelle brevi e di facile comprensione. Fra le iscrizioni brevi ho presentato la traduzione solamente di quelle che implicano una certa difficoltà di interpretazione.

I grandi testi etruschi da me tradotti figurano in un'altra appendice intitolata «I testi etruschi lunghi» e precisamente essi sono «La scritta dell'Arringatore», «La scritta di San Manno di Perugia», «L'elogio funebre di Laris Pulenas», «L'epitafio di Lartia Cilnia», «Le lamine auree di Pirgi», «Il Cippo di Perugia» e la «Tabula Cortonensis». Invece della «Tabula Capuana» e del «Liber linteus della Mummia di Zagabria» figurano nel DIGLE tutti i singoli vocaboli, assieme con la traduzione di qualche frase relativa ad un determinato vocabolo.

10. La bibliografia scientifica relativa alla lingua etrusca è ormai un oceano, ragion per cui non poteva entrare tutta e nemmeno in parte in una apposita Appendice Bibliografica; il presente volume sarebbe risultato doppio di spessore ed avrei dovuto lavorare per altri due o tre anni per comporlo, senza del resto poter sperare di fare un lavoro completo. Mi sono pertanto limitato a richiamare, lessema per lessema, la bibliografia essenziale, richiamandola di volta in volta con le relative sigle adottate.

11. Ho già detto che anche io ho accettato - come del resto stanno facendo tutti gli altri etruscologi - il materiale lessicale etrusco nella forma e nell'ordinamento presentati dagli Etruskische Texte di H. Rix. Ed ho pure detto che invece non ho neppure io accettato la soluzione che egli ha preso in ordine alla trascrizione delle consonanti sibilanti con otto differenti grafemi. Per questo fatto avevo anche deciso di ritornare alla trascrizione ormai tradizionale, cioè all'uso di due soli grafemi: s per il sigma e ˆs per il san (o sade). Mi sono pertanto impegnato parecchio nel tentativo di recuperare la trascrizione tradizionale delle due sibilanti in tutti i lessemi etruschi in cui compaiono, facendo riferimento soprattutto al Thesaurus Linguae Etruscae. Senonché questa operazione tendente a ristabilire e recuperare nei lessemi la sola differenza tra s e ˆs alla fine si è configurata non solamente macchinosa e lunga, ma anche praticamente pericolosa. Premesso che la differenza tra gli otto grafemi adoperati dal Rix è costituita dalle lettere esse oppure sigma, semplici oppure sormontate da accenti, grave oppure acuto, od infine da entrambi, dico che nel tentativo di ristabilire quella differenza in un numero tanto elevato di vocaboli, è impossibile supporre che non avrei sbagliato parecchie volte per disattenzione, col risultato finale di offrire ai lettori e agli studiosi non pochi vocaboli scritti in maniera errata (e per questo stesso motivo è del tutto legittimo il dubbio che disattenzione nello scrivere tali vocaboli ci sia stata non poche volte anche da parte degli stessi compilatori degli ET. Basti considerare che nella prima lamina di Pirgi [Cr 4.4] è saltata tutta la punteggiatura; nel Cippus di Perugia [Pe 8.4] sono saltati una lettera e due vocaboli; nell'Index generale sono saltati 78 vocaboli; ecc.....). Al fine di evitare questo pericolo avrei dovuto effettuare io personalmente la autopsia di numerosissime iscrizioni etrusche; operazione ovviamente impossibile. Pertanto, dopo numerosi tentativi e dopo mia lunga indecisione, mi sono dovuto arrendere di fronte a questa grave difficoltà ed ho preso la drastica decisione di lasciar cadere non solamente la trascrizione delle due sibilanti effettuata dal Rix con otto grafemi, ma anche quella tradizionale effettuata con due soli grafemi ed ho adoperato nel mio DIGLE solamente la lettera s.

Ovviamente mi si rimprovererà che con questa mia decisione unificante io ho tolto al lettore la possibilità di pronunziare dove compare la consonante san. Ma io rispondo in anticipo che nella pratica effettiva non c'è alcun etruscologo che rispetti la differenza di pronunzia tra il sigma ed il san, per il fatto consaputo che l'uso delle due lettere è del tutto opposto nella Etruria meridionale e nell'Etruria settentrionale.

Predisposizione dunque, con questa mia drastica decisione, ad effettuare un errore di pronunzia rispetto alle due sibilanti etrusche, certamente; ma si consideri che nella pratica è più grave e risulta molto più frequente fra gli etruscologi l'altro errore della pronunzia del digamma F come [v] invece che come [u], ad es. di Velia e vinum anziché Uelia e uinum.... Inoltre si consideri che è rarissimo udire un etruscologo pronunziare le consonanti etrusche come dovrebbero essere pronunziate, cioè [th, ph, kh] spiranti...; ecc.

Ma poi, un etruscologo che abbia in mente un'opera comprensiva e generale della lingua etrusca, come è questo mio Dizionario Generale della Lingua Etrusca, si faccia avanti in anticipo a dire come intenderà procedere per uscire dal caos in cui gli Etruskische Texte ci hanno cacciati circa la trascrizione delle due sibilanti, caos che solamente il loro autore potrà eliminare, come tutti ci auguriamo, nella editio maior della sua opera che sembra che stia preparando.

D'altra parte non si deve trascurare di considerare che la presente non è un'opera di carattere precipuamente epigrafico, mentre è un'opera di carattere precipuamente linguistico, nella quale pertanto una esattissima trascrizione dei vocaboli non è affatto necessaria.

Ed infine si deve considerare che, con la semplificazione da me adottata circa le due sibilanti, la ricerca dei vocaboli risulterà enormemente facilitata, mentre la ricerca negli Etruskische Texte è, purtroppo, grandemente difficoltosa e fastidiosissima...

12. Finisco dicendo che come risultato finale e globale del mio lavoro non ho ritegno a dichiarare di essere convinto di avere composto e pubblicato un'opera di buon valore generale, sia come opera che mira a compendiare tutto quanto è stato finora acquisito scientificamente sulla lingua etrusca, sia come opera che mira a costituire un utile strumento in vista degli ulteriori progressi della etruscologia linguistica. D'altra parte ho pure la convinzione o almeno la speranza che, con la pubblicazione di questa mia opera, finisca del tutto l'opinione largamente diffusa persino tra uomini di cultura e di cultura umanistica, secondo cui la lingua etrusca è ancora tutta un "mistero", una lingua di cui non si sa nulla o quasi nulla, una lingua che attende ancora di essere "decifrata" del tutto e dall'inizio... Ed analogamente, ho la convizione o almeno la speranza che finalmente termini pure la farsa di continuo ricorrente dei genialoidi "decifratori" della lingua etrusca, degli scopritori della "chiave" o del "cifrario" di questa lingua, quelli che periodicamente, anno per anno, quasi mese per mese, si fanno avanti baldanzosi e giolivi e si offrono ai mass-media, attirandone l'attenzione almeno per qualche settimana....

MASSIMO PITTAU

massimopittau@tiscali.it