È cosa abbastanza nota che la questione dei numerali etruschi ha costituito fino al presente una parte molto ampia ed importante e, si può anche dire, "essenziale" nell'ambito della questione più generale della lingua etrusca. Ciò è avvenuto per tre differenti ragioni.
In primo luogo la questione dei numerali etruschi si è imposta soprattutto dopo il rinvenimento nel 1848 dei due famosi dadi di avorio, quelli che impropriamente vengono detti "di Tuscania", mentre di recente è stato accertato che in effetti provenivano da Vulci (1); attualmente essi risultano conservati nella Bibliothèque Nationale di Parigi. Come è noto, nelle sei facce di questi dadi i primi sei numeri del sistema decimale sono scritti non in cifre, bensì in lettere, secondo quanto è indicato dal seguente disegno:
Si è pertanto imposto immediatamente il problema di individuare a quale di ciascuna delle sei prime unità corrispondesse la relativa indicazione grafico-fonetica.
In secondo luogo la risoluzione di questo problema si caratterizzò subito come una questione molto importante anche ai fini della interpretazione delle numerose iscrizioni funerarie etrusche, nelle quali si intravedeva che fossero numerose le indicazioni numeriche, che eventualmente riportavano gli anni dei defunti, il numero dei figli avuti, il numero di anni delle cariche pubbliche ricoperte, ecc.
Infine più in generale il problema della esatta interpretazione dei numerali etruschi incisi nei due dadi di avorio ed anche degli altri si impose agli studiosi in una maniera essenziale in vista della classificazione della lingua etrusca: era l'etrusco una lingua indoeuropea oppure non lo era affatto? Nella seconda metà dell'Ottocento infatti ormai si sapeva comunemente che lo stesso primo impianto della linguistica indoeuropea e precisamente la prima formulazione della famiglia delle lingue indoeuropee od indogermaniche aveva preso il suo spunto iniziale proprio dalla circostanza che già alcuni uomini di cultura, ad iniziare dal fiorentino Filippo Sassetti (1540-1588), avevano visto e segnalato alcune chiare corrispondenze fra i numerali latini e greci da una parte e quelli dell'antica lingua letteraria dell'India, il sanscrito, dall'altra.
È dunque del tutto evidente e certo che nell'ambito della questione più generale della lingua etrusca è stato a lungo un problema essenziale e cruciale quello della decifrazione dei numerali etruschi. Ed infatti, pur avendo rinunziato a fare ricerche statistiche in merito, io ritengo che si possa affermare che di tutta la ricca produzione che la glottologia etrusca od etruscologia glottologica ha espresso in ordine alla lingua etrusca, almeno la metà ha riguardato e riguarda per l'appunto la questione dei numerali. Ritengo di non sbagliare nel dire che non c'è stato alcuno studioso della lingua etrusca il quale non abbia preso contatto con questo particolare problema dei numerali e non abbia fatto almeno una implicita scelta circa la loro interpretazione (2). E se quest'ultimo fatto è vero, allora si comprenderà il motivo per il quale in questo mio presente studio io abbia deciso di non tracciare, neppure a grandi linee, la storia complessa ed intricata delle discussioni che si sono fatte fino al presente intorno alla questione dei numerali etruschi: avrei infatti dovuto riassumere almeno la metà dell'intera etruscologia linguistica. Pertanto ho deciso di dare per scontata la lunga storia di quelle discussioni precedenti e di fare invece riferimento solamente a quelle che sono le interpretazioni più recenti. Ed inizio con le interpretazioni relative ai numerali dei dadi prospettate dai seguenti autori, dei quali indico l'anno del loro ultimo intervento (3):
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1968 |
Olzscha |
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1969 |
Pfiffig |
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1983 |
Bonfante |
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1984 |
Pallottino |
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1989 |
Rix |
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1990 |
Pittau |
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1991 |
Morandi |
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Come si vede chiaramente da questo quadro, ormai la convergenza fra tutti gli studiosi rispetto a ben quattro numerali su sei, è unanime; il dubbio resta solamente per due di essi, huth e sa. Infatti, mentre cinque degli studiosi citati (Olzscha, Pallottino, Rix, Pittau e Morandi), con qualche dubbio da parte del secondo, interpretano huth = 4 e sa = 6, il Pfiffig e il Bonfante invertono ed interpretano sa = 4 e huth = 6.
È da precisare che questa tesi del Pfiffig e del Bonfante è fondata sul fatto che, secondo una indicazione della Anthologia Palatina (XIV, 8), la somma dei numeri delle facce opposte dei dadi da gioco era pari a 7; ed infatti nella ipotesi dei due studiosi avremmo zal (2) + makh (5) = 7, thu (1) + huth (6) = 7, ci (3) + sa (4) = 7. Senonché si può obiettare che da una parte tale testimonianza della Anthologia Palatina non dimostra affatto che questa fosse la regola generale ed assoluta, dall'altra l'Olzscha ha sostenuto la opposta tesi huth = 4, sa = 6 avendo trovato una spiegazione sufficientemente ragionevole dei numeri delle due facce opposte dei dadi: la loro differenza è sempre pari a 3: huth (4) - thu (1) = 3; makh (5) - zal (2) = 3; sa (6) - ci (3) = 3.
D'altra parte è avvenuto che alla tesi huth = 4 (e conseguentemente sa = 6), che era fondata sulla nota connessione, effettuata da Karl O$tirs, del numerale etrusco con la città dell'Attica Hyttenía = Tetrapolis (4), abbiano dato fondamentali conferme sia una nuova iscrizione della tomba dei Caronti di Cere del II secolo a.C., sia un brevissimo ma sostanziale articolo del polacco W. Manczak, pubblicato nel 1983. Nelle pareti della citata tomba sono raffigurati quattro Caronti ed accanto ad uno di essi l'iscrizione Xarun huths è stata ragionevolmente interpretata «(figura) del quarto Caronte» (5). Il Manczak poi, con una indagine statistica relativa alla frequenza dei numerali 4 e 6 in quindici differenti lingue (più frequente il 4 del 6), ha mostrato che tale frequenza si constata anche rispetto ai numerali etruschi huth e sa (6).
Questo dunque è lo status quaestionis relativo alla decifrazione dei numeri dei dadi di avorio. Rispetto agli altri numerali etruschi in questi ultimi anni si sono fatte numerose scoperte epigrafiche, alcune delle quali hanno messo a disposizione degli etruscologi altro materiale relativo agli stessi numerali. In virtù di queste nuove e fortunate scoperte si sono chiariti i valori di altri numerali etruschi, molto importanti quelli relativi alla prima decina:
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Ebbene, anche in virtù di queste nuove acquisizioni, di recente ha ripreso la questione dei numerali etruschi Alessando Morandi, il quale ha ritenuto di risolverla affermando che, dunque, contrariamente a quanto si era sostenuto da parte di molti etruscologi, anche i numerali etruschi mostrano di essere strettamente e geneticamente imparentati con altrettanti numerali di lingue indoeuropee (7).
In termini analitici, il Morandi sostiene che l'etr. zal «due», «forma ampliata di una base za - come si coglie da zathrum «venti» - trova confronti in germanico twa, zwa, con alterazione della d originaria, conservata invece in hit. da, lat. duo etc.». In questa tesi però il Morandi è stato preceduto, come egli stesso riconosce, da Albert Carnoy (8).
Circa il numerale makh «cinque», il Morandi (pag. 85) fa rilevare che "un suo eventuale rimando al significato originario di «mano», potrebbe avvicinarci alla etimologia di greco mákhomai «combatto» e di mákhaira, derivanti da un radicale ma- «mano» analogamente a quanto avviene in latino per pugnare da pugnus". Ed è appena da sottolineare che il Morandi, pur senza dirlo eplicitamente, sta accennando al fatto che la mano implica un preciso riferimento alle sue 5 dita.
Senonché io preferisco accettare un differente suggerimento datomi dall'egregio collega Onofrio Carruba (9): secondo quanto è documentato in altre lingue anatoliche, l'etr. makh potrebbe essere riportato alla radice del lat. magnus, col significato pertanto di «(mano) grande», cioè con tutte le cinque dita distese, mentre la «(mano) piccola» indicava il numero «quattro» perché aveva distese le quattro dita, ma piegato il pollice. A me questa spiegazione del Carruba sembra più verosimile di quella del Morandi e tanto più mi sembra di poterla accogliere, in quanto il lat. magnus trova effettivamente riscontro nell'etrusco, nella locuzione apa nacna, ati nacna «nonno, nonna», letteralmente «padre grande, madre grande», da confrontare col franc. grand-père, grand-mère, ingl. grandfather, grandmother, ted. Großvater, Großmutter, ed inoltre nell'etr. nakhnaz «della nonna» (genit.), sottinteso atial (Pe 1.168). Inoltre mi permetto di ricordare che è stato già prospettato che il numero lat. V (ed anche quello rovesciato etr. ^ ) derivi dall'immagine della mano che ha unite le quattro dita, ma divaricato il pollice.
Per l'etr. sa «sei» il Morandi rimanda all'indoeuropeo seks, come del resto avevano già fatto almeno l'Olzscha ed il Carnoy nei loro citati studi (10).
Per il numerale etr. semph il Morandi effettua la comparazione col lat. septem, il sanscrito saptá, il greco heptá e lo slavo sem e ne trae l'ovvia conclusione che il numerale etrusco significa anch'esso «sette». Però anche in questo accostamento il Morandi è stato preceduto dal Carnoy (11).
Ebbene, a queste affermazioni del Morandi, che mi sembrano sostanzialmente esatte, nonostante qualche loro leggera imprecisione, a me pare che si possano aggiungere importanti considerazioni relative ad altri quattro numerali etruschi appartenenti sempre alla prima decina: thu = 1, ci = 3, huth = 4, nurph = 9.
Innanzi tutto premetto che anche l'Olzscha, nel suo studio già citato, aveva tentato di dimostrare che pure i numerali etruschi thu «uno» e huth «quattro» hanno una matrice indoeuropea, in quanto sarebbero connessi rispettivamente con gli indoeuropei duoo «due» e octoo «otto». Senonché la sua dimostrazione è indubbiamente troppo macchinosa e perfino paradossale nelle sue conclusioni ultime («uno» = «due», «quattro» = «otto»), tanto è vero che non è stata recepita da nessuno studioso successivo ed anche a me non appare affatto convincente. Io sono del parere che la indoeuropeità anche di questi due numerali etruschi si possa dimostrare in un altro modo.
Il numerale etr. thu «uno» è stato ancora dal Carnoy accostato al vedico tva «l'uno», tvad... tvad «una volta... l'altra volta» (12) ed io aggiungo l'avestico thwat... thwat «una volta...l'altra volta, ora...ora, da una parte... dall'altra» (13).
In secondo luogo segnalo che al numerale etr. thu «uno» sono stati da vari studiosi riportati i vocaboli etr. thunule e thunkhulthe. Per il secondo, che compare nel Cippo di Perugia (CIE 4538), è stato ipotizzato il significato di «unanimiter» e «concordemente» (14). A me questa ipotesi sembra convincente e per avvalorarla da un lato confronto l'etr. thunkhule col lat. singulus «singolo», dall'altro, ricordando l'origine dell'avverbio latino unanimiter ed anche del corrispondente italiano unanimemente dalla frase una + anima, io interpreto esattamente thunkhulthe = «in unione, in unità, in accordo, in concordia».
Inoltre sono del parere che il vocabolo thunkhule, che compare nel testo della Mummia di Zagabria (XII.3) nella frase aiseras seus thunkhulem, possa essere tradotto egregiamente «ed ognuno degli dèi superni».
Per quanto riguarda ci, ki «tre» ritengo che si possa richiamare l'iranico sih «tre», mentre per huth/hut «quattro» faccio in primo luogo osservare che è probabile che nel testo della Mummia (X.14), il vocabolo huteri sia il dativo di hut ed abbia un valore temporale, per cui significherebbe «il (giorno) quattro». E in questa ipotesi si intravede che huteri conserverebbe una sillaba -er della radice ed una originaria forma huter «quattro» si collegherebbe del tutto facilmente agli indoeuropei lat. quattuor, sanscrito catvaaras, antico irlandese ceth(a)ir, lituano keturì, antico slavo çetyre, ecc.
Infine mi sembra che non si possa negare che anche il numerale etr. nurph richiama chiaramente il lat. novem, il gotico niun, il prussiano newints, ecc.
Siamo dunque arrivati alla conclusione che anche i numerali etr. thu = 1, ci/ki = 3, huth/hut = 4, nurph = 9 sono collegabili ad altrettanti numerali di lingue indoeuropee. Ed intendo precisare e sottolineare che la connessione fra questi quattro numerali etruschi con gli altri indoeuropei è, dal punto di vista fonetico, molto più stretta e perfino più evidente di quella comunemente e pacificamente accettata di alcuni numerali indoeuropei fra di loro.
Ma a questo riguardo aggiungo che, se si accetta - come si fa da parte di tutti i dizionari e testi di linguistica indoeuropea - la connessione fra il lat. unus ed il sanscrito ékas (= 1), fra il lat. duo e l'armeno erku (= 2), fra il lat. tres e l'iranico sih (= 3), fra il lat. novem e l'antico slavo devèti (= 9), è molto meno costoso, dal punto di vista fonetico, accettare anche le tre connessioni - che oggi io propongo - fra l'iranico sih (= 3) e l'etr. ci (= 3), fra il lat. octo, il sanscrito astaa, l'antico slavo osmi, il lituano astuonì (tutti = 8) e l'etr. cezp (= 8) e la glossa etr. khosfer «Ottobre» (15) ed infine fra il sanscrito dása, l'avestico dasa, l'armeno tasn, l'antico alto tedesco zehan (tutti = 10) e l'etr. sar/zar (= 10). Se poi mi si obiettasse che in realtà fra i citati numerali indoeuropei si è determinato un cambio di radice, io risponderei che niente vieterebbe di pensare ad un cambio di radice anche rispetto ai corrispondenti numerali etruschi.
Ed allora posso sintetizzare la mia odierna analisi e proposta con la seguente tabella comparativa:
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etr. |
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scr. |
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germ. |
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iran. |
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lat. |
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E adesso è del tutto ovvia ed evidente una prima importante conclusione: tutti i numerali etruschi nella prima decina trovano un congruente riscontro fonetico in altrettanti numerali indoeuropei. Non solo, ma si deve pure aggiungere che la corrispondenza di alcuni dei numerali etruschi con i correlativi indoeuropei è tanto evidente, che se ne può trarre anche la conseguenza di eliminare del tutto ogni dubbio residuo circa l'esatto valore dei seguenti numerali etruschi: huth = 4, sa = 6, semph = 7, nurph = 9. Ed a questo proposito faccio osservare che non è, questo, un procedimento a "circolo vizioso", ma è quello che in logica formale si chiama procedimento delle "cause reciproche", in virtù del quale due fatti o fenomeni od indizi si confermano a vicenda, reciprocamente.
Naturalmente io mi dichiaro del tutto aperto ad accettare la eventuale distruzione di qualcuna delle connessioni che sono state stabilite, dagli altri linguisti ed anche da me, fra i numerali etruschi della prima decina e quelli corrispondenti delle lingue indoeuropee; ma quand'anche ciò avvenisse, nessuno può ormai negare che, nel fondo sostanziale, la prima decina dei numerali etruschi si inquadra alla perfezione nella serie di quelli indoeuropei. Qualche eventuale mancata corrispondenza non pregiudicherebbe per nulla questa importante circostanza, più di quanto alcune mancate corrispondenze fra qualche numerale di qualche lingua indoeuropea e quelli corrispondenti delle altre pregiudichino la loro generale connessione e corrispondenza (16).
Si può adesso arrivare all'ultima e più importante conclusione: mentre fino al presente si sosteneva da parte di molti studiosi (soprattutto gli archeologi!) la seguente tesi: «Siccome i numerali etruschi non si inquadrano nella serie di quelli indoeuropei, si deve concludere che l'etrusco non era una lingua indoeuropea», d'ora in avanti si dovrà, a mio fermo giudizio, sostenere questa opposta tesi: «Siccome anche i numerali etruschi si inquadrano nella serie di quelli indoeuropei, si deve concludere che anche l'etrusco era una lingua indoeuropea». E si vede facilmente che questa derivata dai numerali etruschi costituisce un'ottima e addirittura decisiva prova a favore della tesi della matrice indoeuropea pure della lingua etrusca; tesi che d'altronde, come molti sanno, è stata già sostenuta da numerosi linguisti, dei quali gli ultimi in ordine di tempo sono: Albert Carnoy, Marcello Durante, Vladimir Georgiev, Alessando Morandi, Francisco R. Adrados e lo scrivente (17).
Ho detto che «anche i numerali etruschi si inquadrano nella serie di quelli indoeuropei», perché in effetti sono convinto che molti altri fatti linguistici dell'etrusco, lessicali ma soprattutto grammaticali, mostrano di appartenere all'originario fondo indoeuropeo. Riservandomi di ritornare più a lungo sull'argomento in un'altra occasione, mi limito per oggi ad elencare le seguenti corrispondenze dell'etrusco col latino e col greco, cioè con quelle che sono le lingue indoeuropee meglio documentate e conosciute:
desinenze -s del genitivo, -i del dativo negli appellativi; desinenza -n dell'accusativo nei pronomi etruschi ecn, etan/itan, itun come nel greco; desinenza etrusca del locativo -thi come nel greco óikothi, thyrhethi, Ilióthi; pronomi personali etruschi mi, mene simili a quelli latini me, mene; dimostrativi etruschi esta, ica, ps(l) simili rispettivamente a quelli latini iste, hic, ipse; dimostrativo etrusco ita/eta simile a quello greco hoûtos; desinenza etrusca del plurale -va, -ua simile a quella latina del neutro plurale -a; terminazione etrusca del preterito -ke simile a quella greca -ka; imperativo etrusco ridotto alla sola radice verbale, proprio come nei latini dic, duc, fac, fer; copula etrusca ma «(io) sono» simile a quella greca eimí e alla inglese I am; avverbi etr. ipa simile a quello lat. ibi, etr. thui «qui» uguale a quello greco tyí «qui»; congiunzione enclitica etrusca -c(a) simile a quella latina -que; e- protetico etrusco ca/eca, nac/enac, pl/epl, purthne/eprthnev, sal/esal, scuna/escuna come nel greco théloo/ethéloo, khthés/ekhthés; importanti lessemi etruschi nefts «nipote» di zio e prums «pronipote» simili ai lat. nepos, pronepos-otis; etr. nacna «grande» simile al lat. magnus-a; etr. sacni «sacro» simile al lat. sacer; etr. usil «sole» simile al lat. sol, solis; ecc. Inoltre lautn «famiglia, gente» come il tedesco Leute «gente», clan «figlio» come l'ant. irlandese cland «figliolanza».
Circa la tesi della non-indoeuropeità della lingua etrusca a mio giudizio ha pesato troppo fra gli studiosi moderni l'affermazione di Dionisio di Alicarnasso (I 30), secondo cui gli Etruschi costituivano una «nazione a nessun'altra simile per lingua». La quale è una tesi totalmente contraddetta dal silenzio che sull'argomento risulta da parte di tutti gli autori latini. C'è infatti da considerare che, se i Romani, che sono vissuti per secoli a stretto contatto con gli Etruschi, non hanno affermato nulla di simile al citato giudizio di Dionisio, è logico ed evidente che essi non sentivano affatto alcuna diversità totale dell'etrusco rispetto alla loro lingua latina.
Inoltre si è trascurato di considerare che per l'etrusco il confronto più immediato che fino al presente si è fatto è quello col latino; senonché c'è da osservare che un tale confronto viene intralciato dal fatto che il latino è notoriamente una lingua indoeuropea molto conservativa, mentre l'etrusco dimostra di essere una lingua indoeuropea di tipo arcaico, sì, ma insieme molto evoluta. È come, se nell'ambito delle lingue neolatine, si fosse proceduto a confrontare quella lingua neolatina molto conservativa che è il sardo con l'altra molto evoluta che è il francese.
Infine nel dichiarare, con troppa precipitazione e troppa sicurezza, che l'etrusco non era una lingua indoeuropea, si è commesso un grave errore di metodologia linguistica, nel senso che si è trascurato di considerare che esistono argomenti validi per dimostrare che due o più lingue sono imparentate fra loro, mentre non esistono argomenti validi per dimostrare il contrario, cioè che esse non sono affatto imparentate. In altre parole si deve considerare che sono argomenti validi per dimostrare la parentela genetica fra due o più lingue solamente quelli positivi, mentre non sono affatto argomenti validi quelli negativi. Ad es. si potrebbero presentare innumerevoli esempi, lessicali e grammaticali, della dissomiglianza del francese rispetto al latino, ma tutti questi esempi, in ragione del loro carattere negativo, non costituirebbero affatto altrettante prove valide, cioè non sarebbero affatto sufficienti per distruggere le numerose prove positive che invece dimostrano la effettiva derivazione della lingua degli odierni Francesi da quella degli antichi Romani (18).
Massimo Pittau
1 Cfr. G. Colonna, in «Studi Etruschi», 46 (1978), 115.
2 Una bibliografia essenziale della questione, fino all'anno 1965, si trova in A.J. Pfiffig, Die Etruskische Sprache, Graz, 1969, pag. 123.
3 K. Olzscha, Etruskische thu "eins" und indogermanisch *du-oo "zwei", in «Indogermanische Forschungen», 73 (1968), 1/2, 146-153; A.J. Pfiffig, Die Etruskische Sprache cit. pagg. 123-130; G. & L. Bonfante, The Etruscan Language. An Introduction, Manchester, 1983, traduz. ital. Lingua e cultura degli Etruschi, Roma, 1985; M. Pallottino, Etruscologia, VII ediz., Milano, 1984, pagg. 486-487, ed Appendice: saggio di vocabolario; H. Rix, negli Atti del Secondo Congresso Internazionale Etrusco, Firenze, 26 maggio/2 giugno 1985, (Roma, 1989), pag. 1304; M. Pittau, Testi Etruschi tradotti e commentati - con vocabolario, Roma, 1990 (Editore Bulzoni) (sigla TET), num. 197, pag. 92 e vocabolario; A. Morandi, Nuovi lineamenti di lingua etrusca, Roma, 1991, cap. IV. È da notare che le interpretazioni degli autori precedenti a questi si trovano riassunte in M. Pallottino, Saggi, II 558.
4 In «Glotta», XI, 277 segg. Cfr. P. Kretschmer, in «Glotta», XIII, 115-116.
5 Cfr. M. Pallottino, in «Studi Etruschi», 30 (1962), 304; M. Pittau, TET 885 pag. 249.
6 W. Manczak, in «Glotta», 61 (1983), 103-104.
7 Cfr. A. Morandi, op. e cap. cit.; e dello stesso gli studi precedenti Ascendenze indoeuropee della lingua etrusca, I-III, Roma, 1984, 1985, Ediz. «Gruppo Archeologico Romano».
8 A. Carnoy, La langue étrusque et ses origines, in «L'Antiquité Classique», 21 (1952), pagg. 326 segg.; id. id., Dictionnaire étymologique du proto-indo-européen, Louvain, 1955, pag. 214.
9 Nella seduta del 7 marzo 1994 del «Sodalizio Glottologico Milanese».
10 K. Olzscha, art. cit., pag. 152; A. Carnoy, op. cit. pag. 200.
11
Op. cit. pag. 202.
Circa il «procedimento sottrattivo» che si constata nei
numerali etruschi come eslemzathrum = «diciotto»,
letteralmente «due da venti», del tutto analogo al lat.
duodeviginti, il Morandi afferma che esso «è una
conferma esplicita di connessioni fra etrusco e indoeuropeo,
connessioni non dovute solo a identità ideologico-culturali:
etrusco thunemzathrum (= 19) corrisponde per la formulazione
esattamente a lat. undeviginti e ad ai.
ekonavimçati». Ma a questo proposito è
strano che al Morandi sia sfuggito il fatto che M. Lejeune, in un
breve ma sostanziale studio che pure egli ha citato
(Procédures soustratives dans les numérations
étrusque et latine, in «Bulletin Soc. Ling. de
Paris», 76, 1981, 241-248) ha sostenuto in maniera convincente
che questo procedimento molto probabilmente è venuto nel
latino dall'etrusco ed inoltre che «les structures
soustratives.... ne sont pas des survivances d'un système
ancien, mais des innovations» (pag. 247).
12 Op. cit. pag. 209.
13 Cfr. J. Wackernagel, Altindische Grammatik, III Band, von A. Debrunner & J. Wackernagel, Göttingen, 1930, pagg. 575-576; M. Mayrhofer, Kurzgefaßtes etymologisches Wörterbuch des Altindischen - A Concise Etymological Sanskrit Dictionary, Heidelberg, 1956, pag. 540.
14 Cfr. A. Trombetti, La Lingua Etrusca, pag. 220 (errata l'indicazione 120!); M. Pallottino, in «Studi Etruschi», VII (1933), 236; Th. Kluge, in «Studi Etruschi», IX (1935), 181, X (1936), 193, 196, 233, 234; A. J. Pfiffig, op. cit., pagg. 102, 112, 308.
15 La connessione fra il numerale cezp «otto» e la glossa Xosfer «Ottobre» (ThLE 417, TLE-TET 858) è stata fatta per la prima volta - se non vado errato - dallo Stoltenberg (cfr. Carnoy, op. cit., 177).
16 Per il confronto dei numerali etruschi con quelli indoeuropei ho consultato le seguenti opere: V. Pisani, Glottologia Indeuropea, IV ediz., Torino, 1971; X. Delamarre, Le vocabulaire indo-européen - Lexique étymologique thématique, Paris, 1984; O. Szemerényi, Introduzione alla linguistica indeuropea (edizione italiana interamente riveduta e aggiornata dall'Autore), Milano, 1985; ed ovviamente J. Pokorny, Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch, I-II, Bern-München, 1959-1969.
17 Cfr. M. Pittau, Lessico etrusco-latino comparato col nuragico, Sassari, 1984, Editore Chiarella.
18 Questo studio è stato già pubblicato negli «Atti del Sodalizio Glottologico Milanese», vol. XXXV-XXXVI, 1994 e 1995 (1996), pagg. 95-105. Successivamente ho avuto modo di leggere l'articolo di L. Agostiniani, Sui numerali etruschi e la loro rappresentazione grafica, in , 17, 1995, pagg. 21-65.